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Nel 1975 fu pubblicato L’Origine, il primo volume dell’autobiografia del grande scrittore austriaco Thomas Bernhard. Verso la metà del libro, Bernhard racconta un episodio della sua infanzia che è rivelatore di un aspetto poco noto, per quanto piuttosto diffuso nella società austriaca, l’intima compenetrazione tra nazismo e cattolicesimo.

Scrive Bernhard: “All’interno del collegio non avevo potuto constatare alcun mutamento di rilievo, se non il fatto che la stanza cosiddetta di soggiorno nella quale eravamo stati educati al nazionalsocialismo era adesso diventata una cappella, e al posto del podio su cui prima della guerra era salito Grünkranz per insegnarci la dottrina della Grande Germania c’era adesso un altare, e alla parete dove prima c’era il ritratto di Hitler pendeva adesso una grande croce, e al posto del pianoforte che, suonato da  Grünkranz, aveva accompagnato i nostri inni nazionalsocialisti come Die Fahne hoch! oppure Es zittern di morschen Knochen c’era adesso un harmonium.”

Quest’ipocrisia di fondo, che nel racconto di Bernhard è ambientata nell’immediato secondo dopoguerra, si è ramificata in modo multiforme nella società austriaca, distinguendosi in tre elementi che si declinano in vario modo: il cattolicesimo, l’anti-semitismo e il nazionalismo tedesco.

Dopo la seconda guerra mondiale, del nazionalismo tedesco, ovvero quella corrente di pensiero di chi crede che gli austriaci altro non siano che dei tedeschi separati dalla madrepatria e auspicano la riannessione alla Germania, sono stati rappresentati principalmente i politici dell’FPӦ. Il Partito della Libertà Austriaco (FPӦ) nacque nel 1956 dalle macerie del Partito Rurale e da quelle del Partito della Grande Germania come partito pan-germanico, nazionalista e liberale.

455px-heinz-christian_strache_2009In una tesi di laurea ad opera di David Meijer, il rapporto tra l’FPӦ e la Chiesa viene dipinto come conflittuale o distaccato fino al 1997, quando Ewald Stadler introdurrà “una visione molto positiva della cristianità” nel partito. Questa visione positiva è mantenuta tuttora dall’attuale presidente dell’FPӦ Heinz-Christan Strache che combina messaggi anti-islamici alla retorica della difesa delle origini cristiane dell’Europa, incorrendo spesso in aspre critiche per la strumentalizzazione che fa di simboli religiosi come la croce.

Il rapporto tra FPӦ e il nazionalismo tedesco, un’ideologia molto labilmente separata da un vero e proprio neo-nazismo, invece è stato continuo e duraturo sin dal 1956. Protagoniste di questo rapporto sono le Burschenschaften, che l’analista, esperto di confraternite, Bernhard Weidinger ha descritto come “un particolare tipo di confraternita [che] in Austria hanno svolto un ruolo importante nello spianare la strada al nazionalsocialismo.”

“Molti membri delle confraternite” aggiunge il professor Weidinger “hanno svolto ruoli chiave nel regime nazista. A livello politico sono diventate la base intellettuale dell’FPӦ.”

E, infatti, all’appello delle Burschenschaften hanno risposto tutti i politici più rilevanti degli ultimi quarant’anni di Partito della Libertà Austriaco. Jörg Haider, segretario nazionale dell’FPӦ dal 1986 al 2000, faceva parte dell’Akademische Jägerschaft Silvania Wien che ancora oggi diffonde in caratteri gotici la sua chiamata “alle opinioni conservatrici che i nostri tempi richiedono”. Norbert Hofer, che l’anno scorso per poco non ha vinto le elezioni presidenziali austriache, fa parte della confraternita Marko-Germania mentre l’attuale presidente del partito Heinz Christian Strache (sì, quello che poche righe fa agitava la croce per rivendicare le origini dell’Europa) ha chiari collegamenti con la Akademische Burschenschaft Aldania Wien a cui si aggiungono i contatti con la Wiking Jugend, un gruppo giovanile d’ispirazione neonazista fondato nel 1952 e messo fuorilegge ufficialmente dal ministero dell’Interno austriaco solo nel 1994.

Profondamente avversi al nazionalsocialismo e al nazionalismo tedesco, invece, sono sempre stati i politici del Partito Popolare Austriaco (ӦVP). L’ӦVP nasce dalle ceneri del partito Cristiano Sociale, un partito che era stato fondato nel 1893 da Karl Lueger — energico sindaco di Vienna tra l’Ottocento e il Novecento.

320px-karl_lueger_um_1900Lueger, che orientò le sue campagne elettorali nella direzione di un fortissimo antisemitismo, aveva tra i suoi ammiratori Adolf Hitler, che era a Vienna negli anni in cui Lueger era in carica come sindaco. Nel Mein Kampf Hitler annoterà: “Ormai vedo Lueger più che come un semplice duce come il più possente borgomastro tedesco di tutti i tempi.” L’eredità di Lueger nel secondo dopoguerra viene raccolta dal suo intimo amico Leopold Kunschak che sarà uno dei padri fondatori dell’ӦVP oltre che il primo leader del nuovo partito. Nel saggio From Prejudice to Persecution: A History of Austrian Anti-Semitism,  Bruce F. Pauley, professore emerito della University of Central Florida, racconta come Kunschak temesse la crescente popolarità dell’antisemitismo nazista, avversario dell’antisemitismo cattolico, e nel 1936, dopo aver a più riprese criticato nel corso del 1933 il regime Dollfuss per l’eccessiva moderazione nei confronti degli ebrei, ripubblicò la sua proposta legislativa del 1919 per provare che aveva propugnato la segregazione ebraica ben diciassette anni prima che la Germania nazista promulgasse le leggi di Norimberga.

Nel 2000 si formò la prima coalizione tra ӦVP, che ormai era comunemente inteso semplicemente come un partito di orientamento democristiano e conservatore, quasi un omologo della CDU tedesca, e l’FPӦ, che nel 2000 era in mano a Jörg Haider, figlio di genitori che erano stati convintamente nazisti, e a sua volta spesso sotto accusa per dichiarazioni al limite, se non direttamente antisemite. La coalizione provocò grande sdegno internazionale e la maggior parte dei membri dell’Unione Europea di allora ridussero i rapporti diplomatici a questioni solamente tecniche. Vi furono aspre critiche anche da parte di Israele al fatto che l’FPӦ fosse stato accettato all’interno della coalizione di governo. Gli animi si rasserenarono solo quando Haider non venne nominato nel gabinetto di governo e lui, per tutta risposta, si dimise da presidente del partito.

Nonostante le dimissioni di Haider, gli anni di governo ӦVP-FPӦ hanno lasciato il loro pesante segno su tantissimi immigrati che vivevano in Austria nei primi anni del duemila e quegli anni vengono ancora ricordati per la xenofobia e l’intolleranza imperanti.

Oggi siamo nuovamente di fronte alla possibilità concreta che due partiti che hanno pesanti eredità di intolleranza, di antisemitismo e di neo-nazismo, eredità che non sempre e non del tutto hanno rinnegato, possano allearsi per formare un governo e nessuno ha protestato con nemmeno la metà della veemenza con cui si era protestato nel 2000.

La folle rincorsa a destra di Kurz — che ha prodotto anche un curioso slittamento cromatico, dal nero tradizionale dell’ӦVP si è passati a un turchese molto più vicino all’azzurro storico dell’FPӦ — è stata, se non ignorata, almeno presa molto sottogamba. Addirittura in molti hanno avanzato paragoni tra Kurz e Renzi o tra Kurz e Macron, dimenticando totalmente le alleanze e il passato di partito con cui l’ex ministro degli Esteri dovrebbe fare i conti.

436px-antisemitisches_wahlplakat_csp_1920In realtà, come riportato dal Kurier, in un’intervista con il quotidiano israeliano Israel Hayom, Kurz ha cercato di prendere le distanze da qualsiasi forma di antisemitismo dichiarando che: “La battaglia contro l’antisemitismo e la nostra politica di tolleranza zero contro ogni tendenza antisemitica mi sta molto a cuore. Si tratta di un prerequisito inequivocabile di una coalizione che fa capo a me.” Benjamin Netanyahu, che ha chiamato Kurz il 16 ottobre per congratularsi con lui della vittoria elettorale, ha espresso soddisfazione per i passi avanti che l’Austria ha fatto negli scorsi anni nel rinnovare la memoria dell’Olocausto e nel combattere l’antisemitismo e ha invitato il primo ministro in pectore in Israele. Viatcheslav Moshe Kantor, presidente dell’European Jewish Congress, ha però dichiarato, riferendosi all’ FPӦ, che “un partito che si è presentato con una piattaforma elettorale basata sull’intolleranza e che ha costantemente bersagliato gli immigrati non dovrebbe mai ottenere un posto nel governo”.

Il vicepresidente Ariel Muzicant ha aggiunto che per la comunità ebraica “la probabile presenza dell’FPӦ nel prossimo governo costituisce un grosso problema.” Muzicant è famoso anche per una battuta che fece su di lui Jörg Haider, che si chiedeva come una persona che si chiama “Ariel” potesse essere così sporca. Karl Pfeifer, giornalista austriaco, ha citato questa battuta come esempio classico di quelle che chiama coded expressions of antisemitism: “Nonostante questa osservazione giocasse chiaramente con l’espressione “sporco ebreo” usata dai nazisti, in un  momento successivo Haider ha dichiarato che la battuta fosse riferita unicamente ad Ariel, la marca di detersivo in polvere.”

In ogni caso, non è facile prestare fede alle dichiarazioni di buonsenso di Kurz. In un confronto televisivo, tenutosi durante la campagna elettorale su OE24, vengono contrapposti Heinz-Christian Strache, leader dell’FPӦ, e Sebastian Kurz. Al minuto 4:42 Kurz, parlando di politica migratoria, dichiara:” Ho già detto tempo fa che dovremmo prendere esempio dall’Australia (paese noto per lo scandalo degli abusi ai migranti nel centro di Nauru ndr). Si ricorderà che ai tempi ci fu una gigantesca ondata d’indignazione contro di me. Norbert Hofer (compagno di partito di Strache, ndr), però, disse che lui sarebbe stato d’accordo con una politica del genere”. Strache, senza mezzi termini, replica che proprio Kurz è stato, nei suoi sette anni di incarico come ministro degli Esteri, uno dei principali responsabili dell’immigrazione avvenuta in Austria e lo accusa di essere stato ai tempi “in grembo alla signora Merkel”. Il dibattito si fa più serrato e Kurz si attribuisce il merito di aver chiuso la via dei Balcani:”Lei ha detto che la via dei Balcani è stata chiusa da Orbán. Mi permetta di ricordarle come sono andate le cose veramente. [La chiusura della via dei balcani] è stata, infatti, un’iniziativa austriaca, di concerto con altri stati dell’est dei Balcani.” Poco prima Kurz si era detto disponibile a procurare un appuntamento a Strache con Orbán affinchè potesse chiarirsi le idee su chi avesse il merito della chiusura della rotta balcanica. Grazie all’intervento dei giornalisti il dibattito procede, ma l’impressione che si evince è che i due si sarebbero messi volentieri a litigare su chi sia più intimo di Orbán.

Nasce forse anche dalle impressioni di questo dibattito l’editoriale di Dominik Barta, apparso il 27 settembre su Der Standard, in cui viene fatto un parallelo tra Sebastian Kurz e Karl Lueger.

Scrive Barta: “All’incirca cento anni dopo, con una sequenza di trasformazioni più o meno spettacolari, è nato dai “Cristiano-sociali e Antisemiti” (uno dei nomi originari del partito predecessore dell’ӦVP’) il movimento turchese e il suo rappresentante si chiama Sebastian Kurz. Esattamente come alla prima pietra cristiano-sociale Karl Lueger, che da molti veniva chiamato semplicemente “der fesche Karl” (il bel Carletto ndr), a Kurz viene attribuito grande fascino.” Barta continua i paralleli ricordando come Luger raggiunse consensi orientando l’odio della popolazione contro cechi ed ebrei. In modo simile Kurz ha bersagliato gli immigrati irregolari e i musulmani. Il pezzo si chiude con una domanda retorica: “E la grande speranza della, cosiddetta, politica cristiano-sociale? Parla con gli stessi toni del 1911, come non ci fossero state le due guerre mondiali”.

Questa constatazione è assolutamente preoccupante perché come hanno ricordato in molti, Vienna è sempre stata il barometro degli umori politici europei e se si è passati da questo tweet di Andrew Stroehlein di Human Rights Watch —

— al rischio di una nuova coalizione ӦVP-FPӦ e certi toni nei dibattiti nell’arco di soli due anni, ammesso che il barometro non si sia rotto, si prevede tempesta.