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Abbiamo incontrato Ruth Ben-Ghiat, autrice dell’editoriale del New Yorker, per chiederle cosa ne pensa delle polemiche che ha scatenato, e se davvero non vede l’ora di guidare un esercito di ruspe alla demolizione del Palazzo della Civiltà Italiana.

Il 5 ottobre è uscito sul New Yorker un editoriale della storica americana Ruth Ben-Ghiat intitolato ‘Perché ci sono ancora così tanti monumenti fascisti in Italia?’. L’articolo ha scatenato una feroce polemica sui social e sui giornali italiani (Corriere della Sera e Sole 24 Ore in prima linea), con accuse di scarsa accuratezza, vuota provocazione e “populismo giornalistico.” Gli animi nostrani si sono soprattutto infiammati all’idea che una professoressa americana si permettesse di venire a dirci di radere al suolo il nostro patrimonio artistico.

A una lettura un po’ più approfondita, tuttavia, ci è parso che l’articolo dicesse tutt’altro. Abbiamo incontrato Ruth Ben-Ghiat nel suo ufficio alla New York University, per chiederle cosa ne pensa della vivace risposta che l’editoriale ha ricevuto, e se davvero non vede l’ora di guidare un esercito di ruspe alla demolizione del Palazzo della Civiltà Italiana.

La maggior parte delle critiche che il suo articolo ha ricevuto sono contro la demolizione dei monumenti fascisti sopravvissuti in Italia, e parlano dell’importanza della memoria storica e di quanto possa essere dannosa una damnatio memoriae. Leggendo il suo articolo, tuttavia, non ci è parso che la demolizione fosse quello che l’articolo suggeriva.

No, infatti. Iniziamo col dire quello che il mio articolo non è. Non è un articolo di critica dell’architettura, non esprime giudizi estetici sugli edifici modernisti e non dice che bisogna demolirli. È un articolo scritto per invitare alla riflessione, non alla demolizione, cosa che non è stata colta da molti. Forse, vedendo il nome di un’autrice straniera, i lettori hanno reagito con veemenza, senza prestare adeguata attenzione a quello che ho scritto.

I monumenti fascisti, per varie ragioni, tra cui il fatto che sono tantissimi, non sono stati rimossi nell’immediato dopoguerra. Sono stati distrutti solo i simboli fascisti più eclatanti, come i busti di Mussolini. Secondo lei, sarebbe stata auspicabile al tempo un’opera di de-fascistizzazione più profonda, simile a quella tedesca?

Non sta a me dire se bisognava seguire la strada che hanno seguito i tedeschi. L’articolo non è nato per offrire consigli o soluzioni. È nato dalle domande che hanno fatto gli studenti del primo anno che stanno seguendo un mio seminario sul fascismo italiano. A seguito del dibattito sulla rimozione delle statue confederate al Sud, si sono chiesti perché in Italia sopravvivessero ancora così tanti monumenti fascisti. La mia intenzione nello scrivere l’articolo era quella di porre il problema della memoria storica del fascismo. Non ho suggerito di demolire monumenti, né di affiggere targhe. Sono una storica, non è il mio lavoro dire agli italiani cosa fare. Ho messo in evidenza quello che ritengo un problema.

A suo parere, le reazioni infervorate all’articolo possono essere un segnale del fatto che l’Italia non ha mai propriamente fatto i conti con l’eredità e i crimini del regime fascista?

Il fatto è che non si presta più attenzione alla memoria storica del fascismo. Non c’è sufficiente educazione civica e sensibilizzazione al tema. Prendiamo l’esempio di Matteo Renzi, di cui parlo nell’articolo. Il fatto che un giovane di centro-sinistra abbia pensato di poter fare un annuncio alla stampa internazionale da davanti all’affresco ‘Apoteosi del Fascismo’ senza che ci fossero conseguenza particolari è significativo [ndr si tratta dell’annuncio della candidatura di Roma alle Olimpiadi 2024, fatto al Foro Italico nel 2014]. La Merkel non si sarebbe mai messa davanti a una raffigurazione di Hitler a fare un annuncio pubblico. La scelta di Renzi, anche se inconsapevole, legittima quelli che di fatto sono monumenti della violenza fascista. E di conseguenza è dannosa sia per l’antifascismo che per la democrazia.

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Ma quella scelta, in Italia, non è stata percepita come tale.

È proprio di questo che parla l’articolo, dell’importanza di fare attenzione, di pensarci due volte a quello che si fa con e dentro i monumenti del fascismo. Quando Fendi prende in affitto il Palazzo della Civiltà Italiana per farne la sua sede, nessuno ne trae alcuna conseguenza.

Si usano le stesse parole usate dai fascisti, nello stesso luogo. Non c’è sensibilità storica alla lingua, ai gesti, e agli usi dei monumenti.

L’edificio è bellissimo, e non sto dicendo che bisognerebbe demolirlo. Ma pensare alla sua storia, al suo contesto e a quello che può simboleggiare. Al piano terra Fendi organizza mostre dedicate alla cultura italiana. Nella pubblicità di una di queste si dice che la mostra è un omaggio al genio italiano. Si usano le stesse parole usate dai fascisti, nello stesso luogo. Non c’è sensibilità storica alla lingua, ai gesti, e agli usi dei monumenti. E ce ne vorrebbe di più. L’architettura razionalista è bellissima, ma bisogna prenderla in considerazione con un pensiero che non sia solo estetico.

È possibile che l’assimilazione di quel che rimane della cultura fascista nel quotidiano sia un sintomo positivo? Il fatto che la maggioranza degli italiani non legga nulla nell’annuncio di Renzi davanti all’affresco con Mussolini, non può voler dire che il fascismo è definitivamente superato?

Si può guardare la cosa da entrambi i lati. Il paesaggio urbano, in Italia, è molto denso, ha tanti strati di storia, ed è comprensibile che gli italiani vivano la propria eredità architettonica come qualcosa di naturale. Il rischio di cui parlo è un rischio politico. I monumenti fascisti sono sì belli, ma rimangono monumenti alla violenza, sono edifici insanguinati. L’EUR è stato costruito negli anni dell’Asse, anni di violenze e aggressioni, contro gli ebrei, contro gli antifascisti. In un mondo in cui la destra sta risorgendo, una simbologia così normalizzata incoraggia una visione del fascismo come di qualcosa di non violento.

I monumenti fascisti sono sì belli, ma rimangono monumenti alla violenza, sono edifici insanguinati.

La stessa visione che incoraggiava Fini negli anni ’90, dicendo che Mussolini è stato un grande uomo di stato. O Berlusconi, quando diceva che Mussolini non ha mai ammazzato nessuno. I monumenti diventano parte normale del passato, o oggetti belli senza contesto, e il fascismo viene privato della violenza. Bisogna sempre aver presente la violenza del fascismo.

Quindi secondo lei il neofascismo in Italia pone un rischio e un problema reale?

È difficile da dire. Di sicuro, se il fascismo ritorna non sarà lo stesso di prima. Ma di fatto, in Italia il neofascismo non è mai scomparso. Quando vivevo a Roma negli anni ’80, si vedevano i neofascisti radunarsi attorno ai loro monumenti. Non c’era bisogno di andare a Predappio. In Germania la denazificazione è stata più radicale, ma adesso l’estrema destra è in parlamento. C’è una chiara tendenza globale ad andare verso destra. L’Italia per ora ha retto più di altri paesi, ma il rischio è alto dappertutto. In un certo senso, l’articolo è anche un avvertimento.

Speculare al problema dei monumenti fascisti, è quello dei monumenti antifascisti. O meglio, della loro assenza. La Resistenza non ha monumenti che la celebrano, solo qualche corona appassita e qualche targa. L’importantissima memoria storica di Piazzale Loreto, per esempio, è stata completamente cancellata dal luogo.*

L’assenza di monumenti che celebrano l’antifascismo è un altro grande problema. Di questi tempi c’è un tentativo, finanziato da Putin, attorno al quale sta confluendo la destra globale, di screditare completamente l’antifascismo. I monumenti fascisti rimangono, la destra risorge, ma di luoghi che ricordino l’antifascismo non ce ne sono. Si elimina l’antifascismo, e intanto le Case del Fascio rimangono, e vengono glorificate per la loro bellezza estetica.

L’ex Casa del Fascio a Como, progettata da Giuseppe Terragni
L’ex Casa del Fascio a Como, progettata da Giuseppe Terragni

Cosa ci dice del monumento a Rodolfo Graziani, generale fascista responsabile dell’uso delle armi chimiche nella guerra italo-etiope e inserito dall’ONU nella lista dei criminali di guerra? Ad Affile nel 2012 è stato costruito un sacrario in suo onore con l’utilizzo di fondi pubblici destinati alla costruzione di un parco.

Il caso del monumento a Graziani è un esempio positivo di reazione antifascista da parte della popolazione. Il monumento rimane, ma il finanziamento è stato tolto e il sindaco che ha commissionato i lavori è stato condannato per apologia di fascismo. La comunità si è mobilitata contro il simbolo fascista. Quindi ci sono movimenti positivi. Come anche la campagna di Laura Boldrini per la conservazione della memoria antifascista e per la rimozione dei simboli più eclatanti del fascismo. Ma persino la sua proposta di cancellare la scritta DUX dall’obelisco di Roma è stata accolta come un tentativo di sfregiare un capolavoro. Forse la scritta non è da cancellare come se fossimo ancora nel 1945, ma almeno bisogna renderla educativa.

Da monumenti a moniti?

Sì, soprattutto per i giovani. Negli anni ’90, Berlusconi, con la sua linea politica anti-Islam, pro Europa bianca e cristiana, e con le sue alleanze, ha anticipato quello che sta succedendo adesso in altre parti del mondo occidentale. L’Italia è un luogo molto importante per la difesa della democrazia per varie ragioni. Perché in Italia il regime fascista è durato il doppio di quanto sia durato il regime nazista in Germania, perché c’è da considerare l’importanza artistica ed estetica della memoria storica, e perché è l’Italia il primo paese in Europa che ha visto i neofascisti entrare in parlamento. In un momento in cui la democrazia è minacciata, l’Italia può avere una ruolo positivo. L’articolo di critica al mio editoriale uscito sul Sole 24 Ore ha una conclusione sorprendente. Dice che con il mio articolo il New Yorker vuole esportare la democrazia. Innanzitutto non c’è stata nessuna manovra politica a tavolino tra me e il New Yorker. Ma se la mia colpa è quella di difendere la democrazia, allora l’accetto volentieri.

* Edit 21.30: in Piazzale Loreto è presente un monumento ai caduti nella strage del 10 agosto 1944.


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