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Ofo e Mobike, i due nuovi servizi di bike sharing in free floating, rappresentano una pericolosa concorrenza per il vecchio BikeMi, o si tratta di servizi complementari? Abbiamo provato a capirlo.

Nell’ultimo mese, a Milano sono comparsi due nuovi servizi di bike sharing, Mobike e Ofo. Se non li avete già provati, di sicuro vi sarà capitato almeno di sentirne parlare, o di vedere in giro le loro biciclette, con i cerchioni arancioni e simili a Grazielle futuristiche quelle di Mobike, giallo canarino quelle di Ofo.

La novità principale rispetto all’unico servizio di bike sharing finora disponibile in città, BikeMi, è nella tecnologia free floating, ovvero: le biciclette non hanno stazioni fisse, si prenotano e si sbloccano tramite app e si possono lasciare dovunque — anche troppo.

La risposta dei milanesi è stata decisamente favorevole: Mobike, con una flotta che a regime raggiungerà le 8 mila biciclette, avrebbe totalizzato 35mila iscritti soltanto nei primi 15 giorni.

Ofo e Mobike sono le due startup di maggior successo nel settore. Fondate a Pechino, rispettivamente nel 2014 e nel 2015, sono state valutate entrambe oltre un miliardo di dollari e si stanno espandendo rapidamente in tutto il mondo: Ofo risulta attivo in circa 170 città e a marzo scorso aveva più di 20 milioni di utenti registrati, mentre Mobike soltanto in Cina muove più di 5 milioni di biciclette.

A Milano si sono spartite un bando emesso lo scorso giugno dal Comune, che prevede, per una fase di sperimentazione di tre anni, una quota massima di 12 mila bici: 8 mila saranno di Mobike, 4 mila di Ofo.

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In tutto questo, quale sarà il destino di BikeMi?

Attivo dal 2008 (figlio ancora dell’era Moratti), BikeMi conta al momento 280 stazioni, 3650 biciclette tradizionali e 1000 con pedalata assistita, introdotte in occasione di Expo 2015. Nonostante gli inevitabili problemi — posteggi difficili da trovare in centro, biciclette spesso vandalizzate, o direttamente fatte sparire — i numeri non hanno mai smesso di crescere: a fine 2016 gli abbonati annuali erano 55 mila, con un incremento del 24% rispetto all’anno precedente. Il record giornaliero è stato raggiunto il 5 aprile scorso, con 23.370 prelievi.

Alla fine dello stesso mese, Palazzo Marino aveva ventilato un possibile stop al servizio del bike sharing elettrico, per via dei costi eccessivi: più di un milione di euro all’anno per mille bici. Ma poi l’allarme è rientrato, e anzi è stato annunciato un rilancio, con la sostituzione di 2300 biciclette con modelli più leggeri, l’installazione di nuove stazioni e l’ampliamento di quelle esistenti. Contemporaneamente, però, il Comune ha emesso il bando che ora permetterà a Ofo e Mobike, insieme, di quasi triplicare il numero di biciclette a disposizione di BikeMi.

A giugno, prima ancora della conclusione del bando di gara, BikeMi ha implicitamente attaccato i servizi free floating, condividendo sulla propria pagina Facebook due articoli piuttosto critici: uno relativo al fallimento di un’altra startup cinese, Wukong Bike, che a cinque mesi dal lancio si è ritrovata con il 90% delle biciclette perdute o rubate, l’altro sulla scomodità delle bici di Mobike.

Difficile non interpretarlo come un attacco diretto ai due futuri competitori, dopo quasi dieci anni di monopolio.

BikeMi è di proprietà di Atm, ma la gestione è affidata a Clear Channel Italia, che nel 2008 si è aggiudicata un bando di gara valido per 15 anni — con un contratto che qualcuno ha giudicato svantaggioso per la partecipata comunale, che tutt’ora carico della costruzione delle nuove stazioni e dell’acquisto delle biciclette, ma ottiene una percentuale sui ricavi soltanto da quelle elettriche. Stando a un articolo del Sole 24 Ore dello scorso giugno, BikeMi avrebbe 6 milioni di costi all’anno, coperti dagli abbonamenti soltanto per il 25%: al resto ci pensano gli spazi pubblicitari sulle bici e nelle stazioni. Il bilancio risulta oggi in attivo, ma i rapporti con Atm non sembrano sempre del tutto rosei.

Nel 2009, i giornali parlavano addirittura di un buco di bilancio da un milione di euro per debiti con Clear Channel. Nel 2013 l’appalto del bike sharing è finito nel mirino di un’inchiesta della procura di Milano, con l’ipotesi di concorso in corruzione e truffa: attraverso un sistema di subappalti, Clear Channel avrebbe gonfiato i costi per la costruzione delle stazioni in modo da ottenere maggiori introiti. Ma nel 2015 per l’unico dirigente di Clear Channel indagato la procura ha chiesto l’archiviazione.

La concorrenza di Ofo e Mobike non rischia di incrinare pericolosamente un modello di business che sembra già fragile dal principio?

In realtà, secondo il Bike Sharing Director di Clear Channel, Sergio Verrecchia, BikeMi non è affatto in competizione con i due nuovi arrivati: “Sono sistemi diversi con funzionalità diverse. BikeMi lavora sull’intensità e continuità di servizio, i free floating sulla copertura territoriale,” mi ha spiegato. “Le faccio un esempio: ipotizziamo che a Cadorna la mattina ci siano 50 bici di BikeMi e 50 bici di Ofo o Mobike. Escono 100 pendolari e prendono sia le nostre, sia le loro. I prossimi pendolari che usciranno dalla stazione prenderanno solo le nostre, perché le riportiamo. Però se un Milanese vuole andare in periferia con la bici non può prendere le nostre, ma solo quelle del free floating. Per noi quindi non sono assolutamente una minaccia.” (Qui una mappa delle stazioni).

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C’è un’altra differenza fondamentale da sottolineare: BikeMi funziona soltanto ad abbonamento — giornaliero, settimanale o annuale — e quindi è naturalmente più adatto a un uso frequente e continuativo, piuttosto che occasionale. Viceversa, Mobike e Ofo non richiedono un abbonamento fisso, né tessere di iscrizione, ma applicano una tariffa oraria — che per il momento è di 30 centesimi ogni mezz’ora per Mobike, mentre non è ancora chiaro quali saranno le tariffe di Ofo (che finora ha permesso agli utenti di viaggiare gratis) — ma in ogni caso è lecito aspettarsi una vera e propria guerra di prezzi.

Ipotizzando come fisso il dato dei 30 centesimi ogni 30 minuti, il prezzo pieno di un abbonamento annuale a BikeMi — 36 euro — si raggiunge con 60 ore in sella a una Mobike: quota che un utilizzatore frequente potrebbe raggiungere in 5-6 mesi.

In questo caso, BikeMi — che ha una tariffa alla mezz’ora di 50 centesimi, ma la prima è gratuita, e a Milano sono rari i viaggi in bicicletta che richiedano più di 30 minuti — risulterebbe ancora economicamente conveniente.

Ma l’attrattiva della concorrenza è sicuramente nella facilità di accesso: Ofo e Mobike sono minimali, ci si iscrive in 5 minuti dall’app senza neanche dover confermare l’iscrizione via email o dover passare attraverso la lettura dei termini di servizio — caratteristiche che non fanno ben sperare sotto il profilo della sicurezza dei dati personali e che non garantiscono molta trasparenza, in primis sulle tariffe, ma il prezzo “quasi gratis,” la possibilità di utilizzo occasionale senza costi fissi e la comodità di poter lasciare la bicicletta ovunque sono motivi sufficienti per spingere gli utenti a provare il servizio.


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A fine settembre, giusto pochi giorni dopo il lancio di Ofo e Mobike, è stata diffusa un’indagine sulla soddisfazione degli utenti di BikeMi, condotta tra il 2016 e il 2017 dall’Università degli Studi di Milano: ne risulta un quadro largamente positivo — il 95% degli intervistati le considera una valida alternativa all’automobile e il 70% utilizza il servizio in maniera complementare agli altri mezzi Atm.

Ma perché BikeMi non ha sfruttato il proprio vantaggio competitivo per investire sulla tecnologia free floating prima dell’arrivo dei concorrenti, scegliendo invece di puntare sull’ampliamento delle stazioni e sul servizio elettrico?

Bikemi Spring Bicycles Milan Bike Bike Sharing

“La Clear Channel ha la tecnologia del free floating ma non la ritiene adatta ad un’utenza europea,” mi ha spiegato Verrecchia.

“Inoltre, il business plan collegato, secondo noi, si regge soltanto sulla presenza di una quantità di bici con i parametri che ci sono in Cina. A Pechino ci sono due milioni e mezzo di biciclette free floating su 22 milioni di abitanti. A Milano ce ne vorrebbero almeno 100 mila. La mia previsione non è tanto che il servizio di free floating sarà un fallimento per i milanesi, ma per le società che lo gestiscono.”

L’assessore alla Mobilità Granelli è sostanzialmente d’accordo con questo punto di vista. “Sono due servizi complementari,” mi hanno detto dall’ufficio stampa dell’assessorato. “E d’altra parte ci sembra anche giusto non lavorare in regime di monopolio: abbiamo emesso un bando destinato a chiunque volesse prestare un servizio alla città. La priorità per noi è dare un servizio ai cittadini. Il bike sharing a flusso libero è complementare a tutta la rete di trasporto pubblico locale, e comunque continueremo a investire sul bike sharing a stallo fisso.”

Eppure viene da pensare al caso parallelo del car sharing: anche lì il vecchio servizio a stallo fisso di Atm, GuidaMi, è stato sostanzialmente soppiantato dai suoi competitori a flusso libero Car2Go e Enjoy — finché, all’inizio di quest’anno, GuidaMi è stata acquistata da Ubeeqo, che dovrebbe riorganizzare il servizio. Ma i due casi, secondo l’assessorato, non sono sovrapponibili: “Lì il problema forse era più nella società che lo gestiva prima, che non nostro. E comunque il car sharing a stallo fisso c’è ancora.”

Non resta insomma che aspettare e vedere come se la caveranno i nuovi attori nel mercato della mobilità milanese, e come se la caverà BikeMi. Di certo c’è un dato inequivocabilmente positivo: sempre più persone utilizzeranno la bicicletta per spostarsi. Ma poi, se BikeMi dovesse fallire, sarebbe davvero una perdita per il Comune? Almeno dal punto di vista economico, sembra di no: mentre da BikeMi Palazzo Marino soltanto il 23% delle sottoscrizioni sulle bici elettriche — che, come abbiamo visto, sono solo mille — da Ofo e Mobike incasserà ben 30 euro a veicolo all’anno. Moltiplicato per 12 mila biciclette, e senza nessun costo di gestione e manutenzione, non è certo male.