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Lungi dall’essere un sistema bipolare, il mondo politico tedesco è caratterizzato da una notevole varietà di schieramenti che coprono tutto l’arco ideologico, dall’estrema sinistra all’estrema destra.

Il sistema elettorale proporzionale fa sì che tutti i partiti al di sopra del 5% possano essere rappresentati e che le maggioranze si formino a posteriori, sulla base di compromessi tra forze politiche talvolta opposte. La Cancelliera uscente Angela Merkel, ad esempio, ha sino a oggi governato con una maggioranza rosso-nera, formata dai Cristiano-democratici della CDU/CSU e dai socialdemocratici della SPD. Una grande coalizione moderata, frutto dell’accordo fra centro e centro-sinistra.

Dopo un articolo introduttivo al sistema elettorale tedesco, proviamo a fare quindi una panoramica dei principali attori di questa campagna elettorale.

Die Christlich – Demokratisch Union (CDU)

L’Unione Cristiano – Democratica, partito di Angela Merkel, può fregiarsi di un fondatore illustre come Konrad Adenauer, e di una lunga tradizione di governo. Per orientamento e percorso post—bellico, la si può facilmente accostare alla nostrana (anche se ufficialmente defunta) Democrazia Cristiana. Non si tratta di un partito di destra: rappresenta un centro moderato, ispirato per valori all’etica evangelica, che guarda con facilità a sinistra per quanto riguarda i temi sociali. Dal punto di vista ideologico e storico però, ambisce più alla felice e virtuosa composizione delle fratture sociali che alla lotta di classe, alla rivendicazione di diritti, o alla cancellazione delle disuguaglianze. Sebbene sia dotato di una vocazione sociale, dunque, si tratta pur sempre di un partito conservatore. A riprova della sua collocazione centrista ed eticamente cristiana, in questi mesi, seppur con qualche frizione interna, il partito non ha mai abbandonato la linea di Merkel rispetto alla gestione dei migranti, sposando da una parte la causa dell’accoglienza e dell’integrazione con un grande slancio umanitario, stemperandolo però dall’altra con gli accordi con la Turchia per il contenimento dei flussi.

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Il 24 settembre, come sempre, la CDU si presenterà unitamente al suo corrispettivo bavarese, la CSU (Christlich – Soziale Union). Sarà ancora una volta (la quarta, per l’esattezza) Angela Merkel la candidata premier, che aspira al quarto mandato da Cancelliera. La leader cristiano – democratica, che pare avere i favori del pronostico, andrebbe così a governare per ben sedici anni consecutivi. I neomaggiorenni che questo settembre andranno per la prima volta al voto, in pratica, non hanno conosciuto altro capo di governo.
Il titolo del programma per il 2017 – 2021 è chiaro e diretto: “Per una Germania in cui viviamo bene e volentieri.”  I primi punti all’indice sono il lavoro, la famiglia e l’educazione, la qualità della vita, il benessere, la fiscalità e il welfare. Un’intera sezione è dedicata ai rapporti con l’Unione Europea, alla quale vien fatta ulteriore professione di fede. Relegato all’ultima parte il tema della sicurezza e dell’immigrazione.

Vengono messi a fuoco i principi cardine che guidano l’azione del partito: la crescita economica costante e sostenibile, la tutela dell’ambiente, la CDU come forza di garanzia della sicurezza interna, della pace, del libero scambio (“noi lottiamo contro ogni sorta di protezionismo”) e della meritocrazia.

Ma il vero punto di forza del programma della CDU/CSU sono i risultati sin qui ottenuti: le prime pagine sono interamente dedicate all’esaltazione delle perfomance economiche e sociali del Paese.

La Germania è uno Stato in cui “si può abitare, lavorare e vivere bene.” Rispetto al passato, la qualità di vita è superiore, l’economia è in crescita, la disoccupazione è un fenomeno marginale, pensioni e stipendi sono aumentati, la sicurezza interna ed estera è garantita. “La Germania è un Paese stabile” ed è suo preciso compito essere “un’ancora di stabilità nel mondo.”

Insomma, le parole d’ordine della CDU sono quelle della sicurezza; una capacità di gestione del potere ampiamente collaudata e promossa a pieni voti, che non proporrà forse grandi innovazioni, fatta eccezione per il capitolo dedicato alla digitalizzazione, ma che d’altra parte non ha bisogno di proporne.

Die Sozialdemokratische Partei Deutschlands (SPD)

Si tratta di uno dei più antichi partiti d’Europa, fondato nel 1875 da Bebel e Liebknecht pochi anni dopo la scissione della Prima Internazionale Socialista. L’SPD si dissocia precocemente dagli obiettivi sovversivi del movimento internazionale, preferendo la partecipazione istituzionale. Già nel 1891, con l’approvazione del Programma di Erfurt, il Partito si pone entro i binari democratici istituzionali – scelta ribadita e rafforzata dopo la Seconda Guerra Mondiale, nell’ambito della Germania divisa, con il Programma di Bad Godesberg (1959), con il quale i socialdemocratici si distaccano definitivamente dall’ideologia marxista e recidono i legami con Mosca. Passaggio vitale, quello di Bad Godesberg, per un partito altrimenti interdetto da qualsiasi incarico governativo, dato il filoatlantismo imposto dagli statunitensi alla Germania Ovest. Questo ha consentito a grandi figure dell’SPD – su tutte, quella di Willy Brandt – di ricoprire nel periodo post—bellico cariche di alto livello nazionale e internazionale.

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A questa tornata elettorale l’SPD cala il suo asso e presenta come premier Martin Schulz, dal 2012 al 2017 Presidente del Parlamento Europeo, ora presidente del partito. Nato nel 1955, eurodeputato dal 1994, Schulz è forse l’unico leader sufficientemente competente e carismatico, a sinistra come a destra, che può insidiare Angela Merkel. Politico di razza, è molto amato in Germania e stimato all’estero, forte della sua esperienza pluridecennale nelle istituzioni europee. All’annuncio della sua candidatura, nel marzo 2017, l’SPD ha compiuto un balzo in avanti nei sondaggi del tutto inaspettato, tanto da superare i cristiano – democratici, prima di allora piuttosto fiduciosi del successo della Cancelliera. Dopo il picco positivo di questa primavera, le percentuali si sono riassestate sui valori precedenti, ma Schulz continua a piacere di più nei dibattiti televisivi e sembrerebbe non aver esaurito le risorse.

I social—democratici si presentano questo weekend con un programma dal nome eloquente: “È il momento per più giustizia.” Non si tratta di un inno alle manette facili. La parola “Gerechtigkeit,” “giustizia,” ha per la verità una sfumatura di significato più vicino alla parola “equità” — equità e giustizia sociale, quindi, sono il nucleo del programma dell’SPD. Al centro del discorso socialdemocratico ci sono non a caso le pari opportunità, innanzitutto economiche, a cominciare dalle famiglie e dall’educazione, dalla riforma della sanità pubblica, dall’assistenza agli anziani, dagli asili e dal sostegno fiscale per le coppie con bambini. Da tempo l’SPD difende la pressoché totale gratuità dell’istruzione universitaria tedesca, una battaglia che viene ribadita e rafforzata dalla promessa di maggiori investimenti per la ricerca. Parallelamente, si sottolinea l’importanza delle scuole professionali e della necessità di innalzarne ancora la qualità.

L’SPD dichiara la propria contrarietà al lavoro precario e a tempo determinato, che “rende insicura la vita di donne e uomini.” L’obiettivo per i prossimi cinque anni è quello di fare del contratto a tempo indeterminato la norma e non l’eccezione.

Ancora per quanto riguarda il lavoro, traspare dalle pagine del programma l’intenzione di un grande piano di assunzioni nei settori pubblici dell’istruzione, della sanità e delle forze dell’ordine.

Per quanto concerne la legalità, viene sottolineata l’importanza della lotta contro l’evasione fiscale (incredibile, ma vero: esiste anche in Germania) e il riciclaggio di denaro. Ma c’è spazio anche per la prevenzione e il contrasto degli atti criminali dell’estrema destra. Negli ultimi anni, infatti, si è intensificato il numero di azioni e attentati di gruppi neonazisti, specialmente nel nord – est del Paese. Inoltre viene annunciata una legge per la regolamentazione dei flussi migratori e per il contrasto dell’immigrazione illegale, e denunciata l’iniquità di quei Paesi della Ue che non rispettano gli accordi sulle quote dell’accoglienza. Ma c’è anche l’impegno per l’abbattimento dell’esportazione di armi, settore industriale particolarmente redditizio per la Germania, che in quanto a investimenti pubblici nella difesa è costantemente al di sotto del 2% del PIL imposto dalla NATO, ma che ha sul suo suolo alcune tra le maggiori fabbriche di armamenti al mondo.

Die Freie Demokratische Partei (FDP)

Vera sorpresa di questa campagna elettorale, i liberali della FDP sono i migliori candidati al ruolo di azionisti di minoranza della prossima coalizione. Il partito, già coinvolto in un esecutivo a guida Merkel nel 2009 – 2013, pare essere resuscitato dopo il crollo delle scorse elezioni, quando un misero 4,8% lo aveva relegato addirittura fuori dal Bundestag. A detta di molti, il merito è tutto dell’intraprendente leader Christian Lindner. A distanza di quattro anni, i sondaggi lo vedono oscillare tra il 9% e l’11% — una percentuale attorno alla quale si assestano anche Linke, AfD e Verdi, coi quali si gioca il posto di terza forza politica del Paese.

I Liberalen di Christian Lindner sono visti da molti falchi cristiano – democratici come gli alleati di governo naturali. Lindner ha per altro quel profilo giovane e intraprendente, quella brillantezza del 38enne rampante, che Angela Merkel non ha mai saputo esprimere e che, dopo tre mandati, darebbe una boccata d’ossigeno a un esecutivo altrimenti politicamente vecchio. La campagna elettorale dei liberali è stata decisamente personalistica, incentrata sulla figura dell’istrionico candidato premier, fotografato come un modello mentre si arrotola le maniche della camicia. Con lo slogan “Denken wir neu,” “Pensiamo nuovo,” scritto in giallo su sfondo fucsia, i cartelloni della FDP non passano decisamente inosservati. Anche il sito web, superato l’impatto dei colori sulla retina, è invero accattivante. Mediaticamente, è forse la campagna meglio costruita.

L’attenzione della FDP è perlopiù rivolta, e senza sorprese, all’imprenditoria e alla flessibilità del mercato del lavoro.

La digitalizzazione rientra fra i punti programmatici più sentiti, tanto da richiedere l’istituzione di un nuovo ministero apposito. A proposito di digitalizzazione, è particolarmente interessante la sezione dedicata alla protezione dei dati sensibili su internet, che coglie appieno la diffidenza di molti cittadini tedeschi nei confronti del web e che affonda le sue radici nella loro tipica riservatezza. Anche la proposta di un sistema educativo unificato e centralizzato, in una Germania federale in cui ogni Land gestisce programmi ed esami a suo piacimento, è degno di nota. Tuttavia, come questa proposta possa sopravvivere in un’eventuale collaborazione con la CSU bavarese e un partito come i Verdi, che molto deve alle realtà locali, è tutto da vedere.

Malgrado l’orientamento moderato della FDP, in questi mesi Lindner ha fatto propri atteggiamenti e idee per certi versi vicini a quelli di Donald Trump: senza far mistero della sua passione per le automobili sportive e per la bella vita, ha condannato le scelte della Merkel sulla gestione dei flussi migratori, asserendo che – una volta conclusi i conflitti in terra natìa — tutti i migranti dovrebbero essere rispediti a casa. Qualche mese prima si era già espresso a favore dell’annessione della Crimea da parte della Russia, ritenuta alleato fondamentale e insostituibile dell’Unione Europea.

Bündnis90/Die Grünen

Nato dalla fusione dei movimenti ecologisti della Germania Est (Bündnis90) e Ovest (Die Grünen) a seguito della riunificazione, lo schieramento dei Verdi ha assunto negli ultimi anni un profilo sempre più moderato e per certi versi conservatore, mantenendo sempre al primo posto della propria agenda politica la difesa dell’ambiente e il pacifismo. L’8% che i sondaggi attribuiscono ai Verdi li rende ottimi candidati per una coalizione tricolore con la CSU e i Liberali.

Forse per smentire la convinzione che si tratti di un partito tematico, i Verdi si presentano a queste elezioni con un programma di ben 250 pagine e due candidati, un uomo e una donna. “Il futuro si fa con il coraggio,” ed effettivamente quella dei Verdi è una formula coraggiosa: Cem Oezdemir e Katrin Goering – Eckardt incarnano, ciascuno a suo modo, uno spaccato di Germania contemporanea. Il primo, figlio di genitori turchi giunti nella BRD negli Anni Sessanta, come migliaia di connazionali e di italiani; l’altra, nata nella DDR e attiva in gioventù nei gruppi cristiano – evangelici d’opposizione. In due, rappresentano ogni possibile minoranza da difendere o quasi, correndo il rischio di apparire grotteschi. Però è fatto indicativo del grande impegno dei Verdi per il riconoscimento della parità dei diritti di quelle comunità e di quelle parti di società ancora più o meno apertamente discriminate. La grande questione che lega i due candidati è certamente quella dell’integrazione. Fra le righe, si può leggere un messaggio: c’è stato un tempo, in Germania, in cui gli immigrati economici erano i cittadini della DDR, un altro in cui erano turchi, greci e italiani. Oggi non solo possono dirsi integrati, ma addirittura alcuni di loro rappresentano lo Stato come deputati. La divisione strutturale della Germania, che risale ai suoi albori medievali, attraversa la guerra dei Trent’anni e arriva fino alla spartizione di Potsdam, così come la sua più recente multiculturalità, possono essere una ricchezza.

L’accento non è dunque posto solo ed esclusivamente sull’ecologia, ma anche sulla parità di genere, sui diritti civili, sulla lotta alla povertà e per l’integrazione sociale.

Anche il ruolo della Germania e dell’Europa nel mondo, come isola e garante di pace, capace di azioni umanitarie mirate e di solidarietà internazionale, è prioritario.

Die Linke

Nata nel 2007 da una costola dell’SPD per avversione alle politiche di Schroeder, la traduzione letterale di “Die Linke” è “La Sinistra” ed è inequivocabile. La Linke è un partito politico socialista, anticapitalista e femminista, che mira al superamento del sistema capitalistico a favore di un socialismo democratico. In Brandeburgo e in Turingia è riuscito a ottenere un posto nelle coalizioni di governo ed è dato attorno al 8—10% su scala nazionale. In diverse aree del Paese e in alcune grandi città supera il 15%.

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Sociale. Equo. In pace. Per tutti. Noi lottiamo per questo futuro!” Il programma della Linke è esattamente quello che ci si aspetta da un partito di sinistra. Lo scenario che vi viene descritto fa da contraltare tanto all’immagine che la CDU traccia della Germania, quanto a quella che, con imbarazzo, deve farne l’SPD, schiacciata nel duplice ruolo di membro del governo uscente e quello di forza d’opposizione. In Germania le cose vanno bene, ma non per tutti: la povertà, il lavoro precario, le periferie disagiate e l’emarginazione esistono anche nella “Locomotiva d’Europa.” Tutto lo sforzo della Linke è orientato alla giustizia sociale e al livellamento delle disuguaglianze economiche.

La parte più sostanziosa del programma è dedicata agli aiuti finanziari per le fasce più povere della popolazione, alla riforma del fisco, con un abbassamento della percentuale di tasse versate dai meno abbienti e con l’istituzione della tassa patrimoniale, e all’introduzione di tariffe agevolate per corrente e mezzi pubblici. Viene affrontato anche il diritto alla casa, battaglia tipica della sinistra, con un piano per la costruzione di 250.000 nuove abitazioni popolari.

Promettono l’innalzamento della paga minima a 12€ all’ora, l’introduzione di una pensione minima di solidarietà di 1050€ al mese e più contratti a tempo indeterminato, ma anche più tempo per vivere — tempo da dedicare alla famiglia e ai propri interessi — per garantire a tutti i cittadini un benessere innanzitutto psicologico, non solo ed esclusivamente economico.

Doppia candidatura anche per la sinistra, che schiera due volti noti del partito: l’agguerrita Sarha Wagenknecht e Dietmar Bartsch, più esperto e pragmatico. Entrambi sono stati presidenti del gruppo parlamentare della Linke e possono assicurare una buona preparazione in ambito economico. Utopisti sì, ma con cognizione di causa.

Alternative fuer Deutschland (AfD)

Sono la vera incognita di questa tornata elettorale, ma le proiezioni danno ormai quasi per certo un loro exploit. Per la prima volta dopo la caduta del Terzo Reich, una forza di estrema destra marcatamente nazionalista potrebbe fare il suo ingresso al Bundestag. Fin dalla sua prima comparsa nell’arena politica l’AfD ha suscitato il biasimo dell’opinione pubblica e della stampa. Questo non ha impedito che il movimento crescesse negli ultimi quattro anni con costanza, fino a sfiorare il 10 – 12% nei sondaggi. Il risultato di questo weekend potrebbe gettare le basi per un’ulteriore ascesa, incoronandola prima forza d’opposizione per il prossimo quadriennio.

Populisti, razzisti, xenofobi, nazionalisti, euroscettici. In questi mesi i media hanno fatto dell’AfD il riassunto di quanto di più torbido c’è nella Storia recente tedesca. Ma se da una parte la cavalcata del movimento ha impressionato e spaventato molti, in tanti vi hanno visto effettivamente un’alternativa possibile e concreta ai partiti tradizionali.

Delle etichette che sono state loro attribuite dai commentatori, non ne smentiscono nemmeno una e lanciano un programma tutto teso all’esaltazione della sovranità tedesca e, in particolare, del Volk, del popolo. Così tra i primi punti dell’agenda troviamo la revisione degli assetti europei secondo un modello antifederalista di semplice collaborazione e convergenza d’interessi fra Stati, senza alcuna cessione di sovranità, lasciando aperta la possibilità di seguire l’esempio della Gran Bretagna. Viene citato il sistema svizzero per l’introduzione di una consultazione referendaria sistematica dei cittadini e di leggi d’iniziativa popolare. Sempre nel senso di un maggior esercizio del potere da parte della cittadinanza va la proposta dell’elezione diretta del Presidente della Repubblica Federale. In generale, per quanto riguarda l’organizzazione istituzionale interna, l’AfD chiede un maggior controllo di quella che in Italia viene spesso definita “casta” — i partiti, il governo, i parlamentari, le lobby e i “poteri forti” — in modo non diverso da quanto fa in Italia il Movimento 5 Stelle. A questo tipo d’istanze, per così dire, “pentastellate,” l’estrema destra tedesca aggiunge la virulenza xenofoba della Lega. “L’Africa non può essere salvata in Europa,” titola il primo paragrafo della sezione sul controllo delle immigrazioni. La Germania delle prossime generazioni deve essere “erkennbar,” “riconoscibile,” e le migrazioni dall’Africa e dai Paesi musulmani minano questa riconoscibilità. E così anche i minori non accompagnati che giungono entro i confini, compiuta la maggior età, devono essere rimpatriati. Si invoca la cessazione dei ricongiungimenti familiari, perché il sistema sociale tedesco non può sobbarcarsi ulteriori costi. Non possono mancare i controlli serrati alle frontiere con pattugliamenti e retate. Frontex e qualsiasi altra operazione umanitaria comunitaria sono da sospendersi il prima possibile.

Davvero impressionanti sono le parole utilizzate nei confronti dell’Islam, che non solo “non appartiene alla Germania,” ma che addirittura cozza coi valori democratici e liberali tedeschi. L’AfD riconosce la libertà di religione, ma contemporaneamente chiede che vi vengano posti dei paletti legali, tra cui l’obbligo per gli Imam di predicare in tedesco. Da abolire in toto le cattedre di teologia islamica nelle università tedesche, mentre gli studi di scienze islamiche devono essere assolutamente tradotti. Divieto assoluto anche di portare il velo nei luoghi pubblici, scuole incluse, tanto per le insegnanti quanto per le studentesse. Parole che toccano corde sensibili e risvegliano ricordi traumatici non ancora del tutto elaborati, ma che in qualche modo riscuoteranno questa domenica un vasto consenso.