cover-eid

“La religione e la fede sono perfettamente in accordo con quello che cerchiamo di fare. Possiamo benissimo mantenere i nostri valori religiosi ed essere vegani.”

—In copertina: un mercante egiziano mostra le proprie pecore al Cairo prima dell’Eid al-Adha, ottobre 2013. CC Xinhua/Pan Chaoyue, Flickr

Due settimane fa, le comunità musulmane di tutto il mondo hanno celebrato l’Eid al-Adha, la Festa del Sacrificio, che insieme all’Eid al-Fitr è la ricorrenza annuale più sacra dell’Islam, legata alla fine del pellegrinaggio alla Mecca. Cade nel decimo giorno dell’ultimo mese dell’anno islamico (quindi è sfasata di una decina di giorni rispetto al calendario gregoriano) ed è osservata sia dai sunniti, sia dagli sciiti. Anche in Italia, il primo settembre scorso, i fedeli musulmani si sono radunati nelle piazze delle principali città, per la preghiera collettiva.

La festività commemora il noto episodio, anche biblico, del sacrificio del figlio di Abramo/Ibrahim, a cui Allah avrebbe sostituito all’ultimo momento un capo di bestiame. Per questo, il rito principale dell’Eid al-Adha consiste nel sacrificio di un animale, solitamente una pecora, ma anche capre, bovini o cammelli. Per tradizione, un terzo della carne viene consumato in famiglia, un terzo viene donato ad amici e parenti, mentre l’ultimo terzo viene distribuito ai più poveri.

Un po’ come accade in Occidente sotto Pasqua o Natale, nei giorni precedenti l’Eid al-Adha la compravendita di animali “da sacrificio” cresce in modo esponenziale: soltanto in Pakistan quest’anno sono stati sacrificati più di 8 milioni di esemplari, per un valore di 3 miliardi di dollari.

Esistono associazioni di beneficenza che, in cambio di una donazione, si occupano dei sacrifici e della distribuzione della carne al posto dei singoli fedeli, ma nella maggior parte dei casi le uccisioni vengono ancora praticate personalmente, nelle macellerie o direttamente per strada e negli spazi pubblici. Spesso le immagini cruente dei sacrifici fanno il giro del mondo, e non è raro che vengano sfruttate dalle destre islamofobe come supposta dimostrazione della “barbarie” del rito. L’anno scorso, per esempio, le forti piogge dopo l’Eid al-Adha hanno trasformato le strade di Dacca in fiumi di sangue.

All’interno della comunità dei fedeli, di conseguenza, la questione del trattamento “umano” degli animali sacrificali si pone ogni anno in maniera sempre più pressante: secondo le complesse regole già previste dalla macellazione halal, agli animali dovrebbero essere risparmiate sofferenze inutili e garantita una morte dignitosa, ma queste regole vengono raramente rispettate, anche a causa dei grandi numeri del consumo di massa.

Dal punto di vista dottrinale, inoltre, diversi esperti dell’Islam hanno fatto notare che in nessun luogo del Corano viene prescritto il sacrificio rituale — nemmeno nella storia di Ibrahim, dove tutto si consuma in una visione e il sacrificio vero e proprio non viene portato a compimento. Al contrario, la tradizione coranica è ricca di precetti esplicitamente contrari all’uccisione di animali senza necessità.

Nel 2016, la poetessa egiziana Fatima Naoot è stata condannata a tre anni di carcere e al pagamento di una multa, con l’accusa di blasfemia, per aver criticato il massacro degli animali durante l’Eid al-Adha in un post sul suo profilo Facebook due anni prima. Ma da allora i gruppi vegani e vegetariani che si rifiutano di prender parte ai sacrifici cruenti e si spendono attivamente per contestare la loro legittimità religiosa sono andati aumentando, in Egitto come in tutto il mondo musulmano.

“I sacrifici sono una pratica culturalmente radicata, mai messa in discussione per talmente tanto tempo da essere quasi diventata parte del DNA dei fedeli,” mi ha spiegato Sammer del blog The Vegan Muslim Initiative. “La cosa ironica è che alcuni compagni del profeta Maometto non praticarono il sacrificio durante l’Eid per paura che la gente credesse fosse obbligatorio. Ora ci troviamo ad affrontare proprio quello che temevano.”

Oltre a Sammer, che vive in Australia, si occupa del blog Elysia, che invece abita in Canada. Prima di lanciare The Vegan Muslim Initiative gestivano già un gruppo su Facebook, Vegan Muslim Community, che al momento conta più di tremila iscritti. “Abbiamo sentito il bisogno di uscire fuori per raggiungere anche quelli che non ci cercavano direttamente.”

“Entrambi eravamo convinti che fosse arrivato il momento di far sentire alle persone la verità, sfidarle rispetto alle norme culturali e sociali che riguardano il consumo di prodotti animali.”

Sul blog vengono pubblicati articoli di approfondimento, testimonianze, documentari sul veganesimo e sull’insostenibilità dell’industria dell’allevamento. Ma rispetto all’attivismo animalista a cui siamo abituati in Europa e negli Stati Uniti, la caratteristica peculiare di questo movimento d’opinione è la sua prospettiva prevalentemente religiosa: contro la credenza diffusa che non consumare carne sia haram — vietato dalla legge coranica — i vegani musulmani cercano di ribaltare l’argomento: è proprio il consumo di carne di massa, nel Ventunesimo secolo, ad essere haram.

“I vegetariani ’mainstream’ forse credono che la fede in Dio non possa andare a braccetto con il veganesimo, e si schierano con grande veemenza contro l’Islam in particolare,” continua Sammer. “Noi siamo qui per dire che la religione e la fede sono perfettamente in accordo con quello che cerchiamo di fare. Possiamo benissimo mantenere i nostri valori religiosi ed essere vegani: non c’è niente nella religione che obblighi qualcuno a mangiare carne.”

Animals in Islam è un altro sito — collegato alla PETA — che pubblica approfondimenti dettagliati sul vegetarianesimo e in generale sui diritti degli animali secondo i precetti dell’Islam: ogni articolo è minuziosamente corredato di citazioni tratte dal Corano o dalla vasta letteratura delle hadith, per dimostrare la contrarietà all’Islam di ogni maltrattamento degli animali — e quindi dell’industria della carne nel suo insieme.

Ciononostante, le resistenze sono ancora molte e spesso tra i commenti sotto i post di The Vegan Muslim Initiative si scatenano accese diatribe. Ma Sammer si dice ottimista: “Statisticamente il numero di vegani e vegetariani sta crescendo in tutto il mondo. Si sta diffondendo una nuova consapevolezza, specialmente tra le generazioni più giovani. Una cosa è certa: la nostra convinzione in quello che facciamo è forte, non rinunceremo a combattere per dare una voce a chi non ce l’ha — le creature che soffrono in questa terra.”


Segui Sebastian su Twitter.

Per ricevere tutte le notizie da The Submarine, metti Mi piace su Facebook