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Dal fallito colpo di stato dell’estate scorsa, il governo ha prorogato per tre volte lo stato di emergenza nazionale, rimuovendo alcune forme di tutela per i detenuti e spianando la strada alla ripresa delle pratiche di tortura.

La Turchia sta tornando ad avere seri problemi con la tortura. È quanto emerge da un report pubblicato ieri dallo Stockholm Center for Freedom, un’associazione no-profit fondata da giornalisti turchi fuggiti dal proprio paese dopo la stretta dell’ultimo anno del regime di Erdogan.

Secondo il report, il governo turco ha responsabilità dirette nell’escalation di violenza fisica e psicologica a cui si è assistito nell’ultimo anno all’interno delle carceri del paese. Come è noto, infatti, il presidente Erdogan sta gradualmente accentuando la deriva conservatrice del proprio regime, indulgendo a inclinazioni teocratiche, imbavagliando i media e schiacciando le opposizioni.

Ironicamente, era stato lo stesso Erdogan a porre un freno alle pratiche di tortura e violenza gratuita nelle carceri, un problema particolarmente grave tra gli anni Ottanta e Novanta. Appena arrivato al potere, nel 2002, insieme al suo governo si era impegnato in una politica di “tolleranza zero” nei confronti degli abusi delle forze di polizia — una politica che aveva funzionato.

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Le cose sono cambiate negli ultimi anni — soprattutto dopo la scorsa estate, quando alcune frange dell’esercito hanno tentato di rovesciare Erdogan con colpo di stato. Da luglio 2016 il governo ha prorogato per tre volte lo stato di emergenza nazionale, rimuovendo alcune forme di tutela per i detenuti e spianando la strada alla ripresa delle pratiche di tortura, secondo il report di SCF. Inoltre, il governo ha reintegrato alcuni ufficiali di polizia già noti per i loro metodi di interrogatorio violenti.

Da allora, ci sono state almeno 75 morti sospette nelle carceri turche, che le autorità hanno attribuito a cause naturali o suicidi ma che, secondo SCF, potrebbero essere vittime di tortura.

Nel caso di alcuni tra questi supposti suicidi, i medici legali che hanno firmato i referti non hanno nemmeno avuto la possibilità o l’occasione di visionare il corpo del defunto.

Oltre a questi casi estremi, va ricordato che in questi mesi la repressione governativa ha portato a centomila fermi o arresti di persone accusate di collusione con Fethullah Gulen, il capro espiatorio preferito da Erdogan, al momento rifugiato negli Stati Unitiin America — il mese scorso il presidente turco si è recato negli States e, tra le altre cose, ha cercato di farlo estradare, suscitando disordini da far west.

Secondo il report, queste torture hanno soprattutto lo scopo di uniformare le testimonianze degli arrestati alla versione complottista della realtà proposta dal regime di Erdogan — in altre parole: ad estorcere false confessioni. Un membro delle forze di polizia, che ha per ovvi motivi preferito rimanere anonimo, ha riferito a SCF numerosi dettagli operativi:

Chi effettua l’interrogatorio parte già con uno schema o uno scenario, prima ancora di cominciare a effettuarlo. Se il soggetto devia da questa cornice, l’interrogatore inizia a mettere in campo metodi di pressione o di tortura per riportare tutto nello scenario. Se il soggetto inizia a fare dichiarazioni migliori di quanto ci si aspettasse, lo guida in quella direzione. Se non è soddisfatto di quanto il soggetto ha dichiarato, può accadere che la tortura non diventi più un modo per estorcere informazioni, ma una punizione.

Spesso chi effettua fisicamente le torture è sotto l’effetto di sostanze stupefacenti. Una grande novità, rispetto al passato in cui le torture erano effettuate in genere da forze di polizia laiche e nazionaliste, è lo sfondo religioso che Erdogan è riuscito a imprimere anche a questa brutta piega della storia contemporanea turca. Secondo il report di SCF, infatti, molti dei torturatori sono convinti di aver di fronte nemici dell’Islam e di non avere colpa per le loro azioni, in quanto giustificate da dio — e dallo stato. Un imam molto vicino a Erdogan e tenuto in grande considerazione dall’establishment turco, Hayrettin Karamak, ha scritto sul quotidiano di stampo islamista Yeni Safak che “un danno a una minoranza è giustificabile negli interessi dell’Ummah,” legittimando di fatto la mano pesante governativa.

Le tecniche di tortura messe in atto comprendono: pestaggi, violenza sessuale, getti d’acqua gelida, essere costretti per ore in posizioni dolorose, waterboarding, esecuzioni simulate.

Nella maggior parte dei casi le torture sono svolte in modo professionale, stando attenti a non lasciare segni permanenti sul corpo delle vittime. SCF ha raccolto un piccolo campionario di testimonianze di chi ha dovuto subire la violenza governativa, che val la pena riportare direttamente.

“Sono stato torturato e sottomesso al dipartimento di polizia di Kırıkkale… Ogni volta ero bendato e non potevo vedere l’ufficiale che mi torturava… Mi hanno portato in bagno e strappato via tutti i vestiti, mi hanno lasciato completamente nudo… Mi hanno stuprato con un manganello… Mi hanno strizzato i testicoli e minacciato di darmi delle scosse elettriche…

Al momento sono scapolo, ma se una volta sposato non potrò avere figli — che dio li possa maledire.”

—Recep Celebi

“Vorrei che mi avessero ucciso…mi vergogno di esistere. Voglio andare a farmi vedere da un medico perché mi fanno ancora male i testicoli. Hanno inserito un manganello nel mio ano. Ero costantemente picchiato… Hanno minacciato di fare a mia moglie quello che hanno fatto a me e di dare i miei figli al dipartimento di protezione minori… Urlavano insulti rozzi e parole feroci…”

—Hasan Kobalay


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