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Se si trattasse soltanto di una cellula impazzita di pasdaran renziani con un pessimo social media manager, non sarebbe neanche grave. Ma il problema è più ampio.

Per farsi notare al di fuori di una ristretta cerchia di appassionati del cattivo gusto, professionisti della memetica e autolesionisti della cronaca politica, hanno dovuto superare se stessi, misurandosi con l’evento di commozione collettiva più rilevante almeno dalla morte di Harambe — l’addio di Totti alla Roma.

Mi immagino la scena: i gestori della pagina Matteo Renzi News seduti attorno a un tavolo, circondati da scartoffie piene di calcoli sull’andamento degli ultimi hashtag del segretario, con le barbe sfatte, le camicie bianche spiegazzate, le tazze di caffè riempite in continuazione, immersi in una furiosa seduta di brain-storming per associare in qualche modo Renzi e Totti.

Bomber? Cucchiaio? Pupone? No, dai, pupone no.

Ne è uscito un piccolo capolavoro di nonsense che ha avuto almeno il merito di portare l’opera di Matteo Renzi News all’attenzione del grande pubblico.

La pagina, che si descrive semplicemente come La voce dei renziani sul web!, serve da organo di propaganda non ufficiale di quell’altrettanto non ufficiale partito-di-Renzi che coincide sempre di più con il Partito Democratico tout court. L’obiettivo, evidente, è quello di combattere la macchina della comunicazione del Movimento 5 Stelle con le sue stesse armi: per la maggior parte, quindi, fotomontaggi scadenti ben oltre la soglia del ridicolo, e privi di qualsivoglia contenuto politico.

Dando una scorsa ai post, la prima reazione è di smarrimento: se non fosse per le numerose condivisioni dal profilo ufficiale di Matteo Renzi, sarebbe davvero difficile distinguerla da una pagina di satira — oh, magari è una strategia consapevole, post-propaganda per l’era della post-verità. Più probabilmente, però, si tratta soltanto una strategia di comunicazione disastrosa e lontana anni luce dalla realtà delle cose.

A partire dall’assurdo stile enfatico con cui ogni post viene aperto come se fosse +++UNA BREAKING NEWS IMPERDIBILE+++, passando per la monomaniaca venerazione nord-coreana dedicata a ogni azione e dichiarazione del segretario, è tutto sbagliato. E il contrasto abnorme tra la forma della comunicazione e i suoi contenuti nulli produce un effetto comico inevitabile — non serve un master in comunicazione per capirlo, basta anche soltanto aver letto Pirandello al liceo. O avere del buon senso.

Quello che sfugge agli autori della pagina è che un’operazione comunicativa come quella sapientemente coltivata negli anni dal Movimento 5 Stelle non è replicabile senza sembrare una parodia della parodia di se stessi. L’universo online pentastellato è coerente: lo stile del Blog di Grillo combacia con quello delle pagine Facebook ufficiali dei vari Di Maio, Di Battista e Taverna, e si irradia nella miriade di pagine più o meno spontanee che diffondono lo stesso tipo di contenuti. La cattiva qualità dei fotomontaggi, l’enfasi esagerata, i continui inviti a CONDIVIDERE SUBITO SE SIAMO D’ACCORDO, hanno una loro intima coerenza in un movimento che sin dalle origini dipinge se stesso come un gruppo di liberi cittadini in guerra permanente contro la casta politica ancorata al potere — una retorica di battaglia che il M5S è riuscito a mantenere anche dopo una legislatura in Parlamento e le numerose esperienze di governo a livello locale.

Se sono un attivista cinque stelle, insomma, CONDIVIDO questo fotomontaggio con una dichiarazione ispirata di Di Battista illuminato dal tramonto perché devo aiutare a diffondere un messaggio evangelico e liberatorio che, sono convinto, è oscurato dai media mainstream e minacciato dai blocchi di potere tradizionali: il mio ruolo di singolo cittadino su Facebook è fondamentale per una battaglia che prima o poi sarà vittoriosa.

Perché mai, invece, dovrei CONDIVIDERE la foto dei nuovi membri della segreteria del partito che bene o male è al governo da quasi cinque anni, con l’hashtag #humansofsegreteria? Ed è solo un esempio recente fra i tanti.

Se si trattasse soltanto di una cellula impazzita di pasdaran renziani con un pessimo social media manager, non sarebbe neanche grave. Il problema è che Matteo Renzi News non si distingue più di tanto dalla strategia comunicativa complessiva ufficiale che Renzi e il Pd stanno adottando negli ultimi mesi, soprattutto per quanto riguarda la presenza online (evidentemente per recuperare il buco nero di consensi tra i “giovani,” ma senza avere un’idea minima di come si muovano veramente i giovani su internet). Abbiamo già parlato della disastrosa app di Matteo Renzi, e del blog lanciato recentemente su Medium, con cui il segretario avrebbe dovuto ri-avvicinarsi agli elettori dopo il ritiro da Palazzo Chigi, ma che è praticamente semi-abbandonato.

Ora è la volta di Bob, l’applicazione (pardon, piattaforma) pensata per contrapporsi al Rousseau del Movimento 5 Stelle, ma che per il momento è un disastro tanto politico quanto informatico.

D’altra parte, mentre Matteo Renzi News condivideva la propria opera d’arte sui due capitani della nostra generazione, il Partito Democratico diffondeva una grafica non meno ridicola in cui, estrapolando e falsando una citazione dal New York Times, sfruttava l’addio di Totti come occasione per attaccare Virginia Raggi. Se avesse un nome in codice, dovrebbe chiamarsi operazione wtf.

Se il Pd — o il blocco renziano — vuole costruire una strategia di comunicazione pop a partire dai social network, non può farlo senza tenere conto della natura stessa del partito — istituzionale, tendenzialmente serio, con una storia importante, impegnato in un’azione di governo che dovrebbe essere in grado di rivendicare o modificare, invece di attaccare le opposizioni — e, soprattutto, della percezione diffusa attorno al partito e alla figura del suo leader.

Qui sta il problema principale: Renzi è largamente antipatico, e non fa niente per migliorare. Preferisce, invece, costruirsi un universo fittizio in cui vestire i panni da grande leader popolare, giovane, amato da tutti, vincente, al pari di Macron e Trudeau (due termini di confronto senza senso perché impossibili da calare nel contesto politico italiano.)

Alimenta, in questo modo, una bolla politica e mediatica che continua a gonfiarsi sin dai tempi della scalata al Pd, quando si diceva che Renzi sarebbe stato l’unico leader in grado di portare il partito alla vittoria elettorale — mentre lo sta portando al disastro, ignorando sistematicamente tutte le prove della propria scarsissima popolarità (dal referendum del 4 dicembre in giù), e rifugiandosi, ancora, nell’irrilevante successo elettorale del 40% alle Europee di tre anni fa. Con questa sicurezza, che non si capisce davvero da cosa derivi se non da una madornale sbornia di egotismo, Renzi freme per far perdere al proprio partito il governo del paese, così come è già successo, nel piccolo, a Roma. Forse a quel punto, finalmente, la bolla scoppierà — ma non ci sarà più da ridere.


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