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Come abbiamo scritto più volte, uno dei temi più caldi dei prossimi anni a Milano sarà il destino di Città Studi, un’area universitaria che rischia di avvizzire a causa del trasferimento delle facoltà che la popolano — un’idea, quella del trasferimento, per cui tutte le autorità accademiche e amministrative della città e del paese sembrano pazzamente entusiaste.

In un comunicato congiunto rilasciato ieri da Comune, Regione, Università e Agenzia del demanio, invece, le autorità si sono impegnate a preservare l’anima universitaria della zona dopo la partenza della Statale. Il comunicato ha fatto tirare un piccolo sospiro di sollievo a tutti coloro che temevano la trasformazione di Lambrate in un deserto urbano. Piccolo perché, appunto, non si è andati oltre la dichiarazione d’intenti — ma è già qualcosa.

Il comunicato è corposo e dà indicazioni piuttosto precise sul futuro dell’area: visto che dal 2018 la facoltà di Veterinaria sarà spostata a Lodi, ad esempio, in Città studi arriverà dalla remota via Noto la facoltà di Beni Culturali. Sono state ufficializzate anche alcune proposte avanzate dal rettore Vago in un’incontenibile intervista del 29 marzo:

  • che siano trasferite le facoltà di studi umanistici;
  • che si trasferisca anche un po’ di Politecnico;
  • che si trasferisca anche un po’ di Bicocca;
  • le parti non del demanio diventino oggetto di edilizia residenziale.

Main cosa consiste di preciso il progetto del trasferimento? E soprattutto: sarà qualcosa di positivo o di negativo per la vita degli studenti e la qualità didattica della Statale? Abbiamo cercato di capire bene cosa accadrà e di soppesare i pro e i contro della vicenda.

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Le tappe del percorso sono note: alla fine di Expo, le autorità hanno dovuto trovare una nuova destinazione per quell’area, altrimenti destinata all’abbandono; hanno deciso di imbarcarsi nella costruzione di un polo per la ricerca scientifica — in particolare chimica e agroalimentare — chiamato Human Technopole; hanno coinvolto la Statale di Milano, il cui rettore Gianluca Vago è diventato un grande fan del progetto; infine, macchinosamente, hanno cominciato a muoversi verso Rho. A partire dal 2022, in cui anche gli ospedali della zona come l’Istituto Besta e l’Istituto dei Tumori si trasferiranno nella cittadella della salute di Sesto, le facoltà di Chimica, Fisica, Matematica, Farmacia, Informatica e Agraria saranno probabilmente spostate in un nuovo polo tecnologico e universitario, da costruire sul luogo dove due anni fa si è tenuto Expo.

Siamo andati a città studi per capire cosa ne pensano di questo punto interrogativo sul loro futuro i soggetti maggiormente coinvolti dalla cosa: studenti e professori. La prima scoperta che abbiamo fatto girando per via Celoria è sconcertante: molti ragazzi sono all’oscuro di tutto. Una buona metà degli studenti con cui abbiamo parlato non è a conoscenza dei progetti di fuga dell’università — tanti non sanno nemmeno dove sia di preciso, questa Rho, e come si raggiunga. Prima di darci una risposta, quasi tutti ci hanno chiesto di spiegargli con più precisione i piani del rettore.

Dalla scarsa informazione degli studenti si possono trarre alcune conclusioni: innanzitutto, che l’amministrazione dell’università ama parlare del trasferimento solo quando è suo interesse farlo — in occasioni politiche, davanti a un pubblico che accoglie positivamente la notizia — mentre davanti agli studenti preferisce non farlo notare con troppo clamore.

La dinamica tra politica universitaria e studenti, inoltre, risulta inceppata, con uno scollamento tra i rappresentanti e i rappresentati. La maggior parte delle sigle universitarie, comprese quelle di maggioranza, sono contrarie al trasferimento, ma anche quelle più combattive e preparate non riescono ad avere ascendente sul proprio “elettorato” — perdendo così potere contrattuale anche davanti al rettore e alle autorità cittadine.

Una volta che spieghiamo ai ragazzi cosa hanno in mente i piani alti dell’università, la grande discriminante è sempre la questione spostamenti. Alcuni ragazzi piemontesi, che per raggiungere Città studi devono farsi un viaggio in treno piuttosto lungo da Novara e Vercelli o trasferirsi a Milano, si sono mostrati entusiasti della proposta — ma purtroppo, per la maggior parte degli interessati, la nuova sede dell’università non sarà così conveniente, a cominciare dal portafoglio.

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Per raggiungere Lambrate muovendosi con i mezzi ATM, infatti, sono necessari 22€ di abbonamento ogni mese, mentre per Rho scatterebbe la tariffa interurbana e un notevole aumento dei prezzi: 53€ per ogni mensilità. Fonti vicine all’amministrazione comunale ci hanno riferito di una possibile agevolazione tariffaria per gli studenti del futuro polo universitario, ma nessuna proposta ufficiale è stata ancora avanzata da nessuna delle parti in causa.

Oltre al fattore economico, va tenuto in conto un notevole allungamento dei tempi di raggiungimento della nuova sede. In tre parole: Rho è scomoda. Il nuovo polo sarebbe, per la maggior parte degli studenti, molto più difficile da raggiungere con i mezzi rispetto a Lambrate — sia per chi viene dalla città che dalla periferia. Gli unici avvantaggiati sarebbero gli studenti dello spicchio nord-ovest della periferia di Milano e i già citati fortunelli piemontesi. La stazione di Lambrate, il nodo di trasporti che connette Città studi ai mezzi pubblici di Milano e alla rete ferroviaria regionale, è servita da più linee ferroviarie rispetto a quella di Rho-Fiera ed è più integrata nella rete ferroviaria nazionale: insieme allo spostamento dell’università sarebbe opportuno pianificare una ricalibrazione dell’intero sistema ferroviario milanese – che però, oggi, non è in programma.

Considerando che alcune facoltà nodali interessate al trasferimento, come fisica e chimica, sono già attive in Bicocca, non è difficile supporre che molti studenti potrebbero scegliere l’ateneo di Greco, ugualmente prestigioso e molto più facile da raggiungere, facendo calare il numero di iscritti a Unimi. Dopo il trasferimento, inoltre, la concorrenza potrebbe addirittura inasprirsi: come reagirebbe la Statale se — ad esempio — l’Università di Bergamo aprisse una facoltà di Agraria per intercettare gli utenti della Lombardia orientale?

Nel corso degli anni, infatti, a Milano e in Lombardia si è creata una situazione paradossale di concorrenza tra atenei pubblici, con molte università che offrono facoltà identiche a breve distanza tra loro. L’esempio più lampante, come dicevamo, è la Bicocca, che dista dieci minuti di treno da Lambrate e ha una facoltà di chimica, di fisica e di matematica in tutto simili a quelle di Unimi. L’ateneo di Greco, rispetto alla Statale, è più giovane, e quindi le attrezzature e lo stato generale dei laboratori per le materie scientifiche sono migliori.

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Vago, conscio di questo svantaggio, sta provando a ingolosire i propri ricercatori, alle prese con locali e attrezzature non sempre all’altezza, con la prospettiva dei laboratori nuovi di zecca a Rho. “C’è uno zoccolo duro, composto da professori e ricercatori, che se ne vuole andare da Città Studi perché qui la situazione delle strutture è quella che è,” ci racconta Simone Beghè di Rete della Conoscenza, una delle sigle che si stanno opponendo con maggior forza al trasferimento. Anche tra gli studenti di via Celoria, abbiamo notato parlando con loro, l’idea di una nuova struttura diversa da quelle fatiscenti in cui stanno ora fa molta gola. “I locali non sono tanto fatiscenti, quanto inadatti alla ricerca, obsoleti,” ci racconta un professore di Chimica nel suo ufficio di via Celoria. “Le attrezzature risalgono in buona parte a investimenti compiuti tra gli anni Settanta e gli anni Novanta. Molte, essendo così vecchie, sarebbero estremamente difficili da spostare in caso di una ristrutturazione.”

Proprio a questo punto viene al pettine uno dei nodi più importanti e controversi del dibattito: perché non ristrutturare gli edifici esistenti, anziché sbaraccare tutto e costruire un altro ateneo dal nulla? La Statale sostiene che, per le casse pubbliche, sia più conveniente lanciarsi nella costruzione di una nuova sede piuttosto che nella ristrutturazione di quanto già esiste.

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Il Presidente di Arexpo, l’ex rettore del Politecnico ing. Azzone, ha dichiarato che secondo alcune stime i costi per ristrutturare Città studi sarebbero circa doppi rispetto a quelli del suo eventuale trasferimento. Non è stato però in grado di fornire alcuna prova a sostegno di questa affermazione — anzi, incalzato da alcuni rappresentanti degli studenti, ha abbozzato dicendo di non aver fatto altro che ripetere un pezzo di un discorso del rettore Vago, e che personalmente non ha idea né se esistano studi in proposito né riguardo a scenari alternativi. Un comportamento non proprio rigoroso da parte di una delle figure che hanno il maggior peso di responsabilità sulle spalle in questa vicenda.

“Al momento, la Statale non ha ancora versato un euro,” prosegue Beghè. “Questo è uno dei motivi per cui il trasferimento può ancora essere fermato.” L’università, secondo l’accordo tra regione Lombardia e governo, per la costruzione del nuovo campus dovrà versare un contributo di 130 milioni di euro. A questi andrebbero aggiunti i ricavi della possibile vendita delle strutture di Città studi, che potrebbe fruttare circa 90 milioni — ma questa vendita non è affatto scontata, dato che molti immobili sono anche soggetti a tutela per il loro valore storico. In ogni caso, l’appalto non è ancora stato assegnato da Arexpo s.p.a. – dovrebbe esserlo entro la fine dell’anno.

Anche se la Statale è un’Università pubblica, non sarebbero solo le istituzioni a essere coinvolte nel progetto. Nelle idee del governo e di Arexpo, infatti, è compresa anche la realizzazione di Human Technopole.

Cos’è di preciso Human Technopole? Perché il suo progetto è legato in modo così stretto a quello dell’ateneo nuovo?

Per capire bene di cosa stiamo parlando dobbiamo risalire ai giorni precedenti all’inaugurazione dell’esposizione universale, quando Beppe Sala era solo il commissario Expo e Matteo Renzi capo del Governo. Il presidente del Consiglio, su Expo, ci stava “mettendo la faccia,” e una delle questioni più scottanti era: cosa ne facciamo, una volta terminata la manifestazione, di quella gigantesca spianata di cemento?

L’idea di creare un polo della ricerca scientifica in cui, magari, spostare anche l’università Statale, pian piano si è fatta strada tra le altre idee meno definite — ad esempio quella dello stadio — ed è diventata la preferita dalle autorità. Alla fine dello scorso settembre Renzi, durante una visita a Milano all’ormai sindaco Sala, aveva deciso di stringere il “patto per Milano” — qualcuno si ricorda? — e si era schierato con forza per far accelerare il progetto del Technopole. Poi qualcosa è andato storto, ma il progetto della cittadella scientifica, grossomodo, è rimasto.

Expo 2015 / Wikimedia Commons
Expo 2015 / Wikimedia Commons

Nei piani del Technopole, all’interno del quale dovrebbe essere inserita la sede universitaria, è prevista una presenza massiccia di imprese private: per realizzarlo, secondo quanto emerso il 24 febbraio, verranno investiti 1 miliardo di euro pubblici e 7 miliardi da privati. È inevitabile pensare che anche l’università — che si prospetta essere un semplice ingranaggio nel meccanismo del polo scientifico — sarà soggetta all’influenza delle ditte interessate al progetto — colossi come Bayer, Novartis e La Roche, che investiranno quei 7 miliardi con lo scopo dichiarato di legarsi alla ricerca dell’ateneo e agli sviluppi lavorativi degli studenti. L’università, infatti, sarà costruita in simbiosi con questo tecnopolo.

È opportuno che un’università pubblica subisca un’ingerenza così grossa da parte di grandi aziende? Vista la sproporzione di investimenti, sia il Technopole che la Statale diventerebbero di fatto un’istituzione controllata da chi, quei soldi, ce li ha messi. Ad esempio, potrebbero essere privilegiate le facoltà di chimica o agraria, i campi in cui operano le aziende in questione, rispetto alla facoltà di fisica. Quanto durerebbe la facoltà di fisica della Statale, messa in secondo piano dalla gestione del proprio stesso ateneo e con la concorrenza della Bicocca?

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“L’intenzione è chiara: ridurre il numero degli studenti,” ci riferisce una fonte nella rappresentanza studentesca. “All’università, il numero di studenti di oggi fa guadagnare meno di quanto potrebbe fare se fossero di meno.” In effetti, un dato che lascia sconcertati è la metratura che sarebbe a disposizione di ogni studente nel nuovo polo di Rho. Se a Città studi per ogni ragazzo iscritto ci sono 12 mq di superficie universitaria, a Rho ce ne sarebbero solo 5.

Questo è un dato di fatto che non viene citato molto spesso nel dibattito sul trasferimento dell’ateneo, ma che in realtà è stupefacente. La nuova università sarà piccola — probabilmente troppo piccola, almeno per il numero di studenti attuali. Anche le aree destinate alle biblioteche sono

previste più piccole rispetto a quelle di Città studi. Tutto questo si può spiegare in soli due modi: o l’università vuole pigiare gli studenti nei propri futuri edifici come polli, o vuole ridurre drasticamente il numero degli iscritti. Una politica non da ateneo pubblico, ma da struttura privata — in teoria o di fatto.

Lo scorso 23 marzo, un gruppo di ragazzi, soprattutto rappresentanti degli studenti, ha approfittato della prima commissione comunale aperta al pubblico per far presente all’assemblea il proprio malcontento, facendo passare un brutto quarto d’ora all’assessore Maran. L’assessore si è trovato in difficoltà davanti a chi gli faceva notare che Rho è davvero lontana, rispondendo cose come “a Boston quindici fermate di metro non sono niente,” beccandosi una salva di fischi dagli studenti.

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Finora, comunque, è stato Maran, in qualità di Assessore all’urbanistica, ad affrontare la questione trasferimento per conto dell’amministrazione, esponendosi anche a contestazioni personali come quella del 23 marzo. Chi è rimasto nell’ombra è il sindaco Sala, che non sembra aver molta voglia di “mettere la faccia” a riguardo — nonostante, in quanto ex commissario Expo, la vicenda lo coinvolga in modo diretto. Senza dubbio Sala sta lavorando perché, entro la fine del suo primo mandato, si sia capito cosa fare dell’ex area Expo; al tempo stesso però — forse perché non è convinto della bontà dell’idea, o forse per altre ragioni — non si espone in pubblico sulla questione: se anche il trasferimento della Statale dovesse rivelarsi fallimentare, lo si capirà soltanto quando lui sarà alla fine del suo ipotetico secondo mandato.

Quello che è certo è che tra qualche mese ci saranno le elezioni in università, e un candidato contrapposto a Vago potrebbe sfruttare l’amore dell’attuale rettore per l’idea del trasferimento come arma elettorale. In definitiva, dunque, il trasferimento a Rho è una buona cosa o no? Senza dubbio i problemi che affliggono Città Studi sono tanti, complessi e richiedono di essere affrontati con investimenti economici e non solo — ma questa non è una buona ragione per trasferire tutto quanto a quindici chilometri di distanza perché non si sa cosa fare dell’area Expo, con un progetto così legato a consorterie e grandi poteri privati da sembrare uscito dal sogno di un berlusconiano nel 2004. Forse, prima di imbarcarsi in tutto questo, è necessario almeno rivedere i progetti per assegnare un po’ di spazio a studente in più. E, soprattutto, coinvolgere gli studenti in misura molto maggiore rispetto a quanto fatto sino ad oggi.


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