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Diaframma è la nostra rubrica–galleria di fotografia, fotogiornalismo e fotosintesi. Ogni settimana, una conversazione a quattr’occhi con un fotografo, e tutti i giorni una foto nuova su Instagram, per scoprire il loro portfolio. Questa settimana abbiamo parlato con Anna Daverio che ha documentato la festa di Ganesh all’interno della comunità Tamil a Palermo, la più grande in Italia.


Classe 1989, Pavia, alle spalle un‘Accademia d’Arte, Anna Daverio impara a conoscere la luce nella città più luminosa d’Europa, Lisbona. A qualche anno dalla laurea inizia ad appassionarsi al fotogiornalismo e al ruolo che esso ha nella comprensione dei momenti storici e delle culture.

Anna, hai una formazione maggiormente artistica, come sei arrivata a realizzare un reportage?

Ho frequentato una Accademia d’Arte, e in effetti, ad oggi, le mie produzioni sono molto estetiche. Da qualche tempo mi sono avvicinata al genere documentaristico in fotografia. Si tratta sempre di un percorso di scoperta, che avviene spesso guardando il lavoro di altri autori, grazie ai quali riesci in qualche misura a comprendere cosa può funzionare o meno nei tuoi lavori.

Un paio di anni fa ho avuto l’occasione di fare un Erasmus a Lisbona durante il quale ho approfondito molto la tecnica, anche in camera oscura. Questa esperienza mi ha permesso di avvicinarmi molto allo studio e alla comprensione della luce, in particolare quella naturale. A livello di produzione, attualmente mi sto occupando delle culture differenti dalle nostre, le loro interazioni con la cultura locale.

Come è nato il reportage sui Tamil, che presentiamo su Diaframma?

Il progetto è nato da un incontro con una ragazza palermitana. Frequentavamo un corso di fotografia e una sera abbiamo passato il tempo scambiandoci impressioni e racconti su culture e riti. Da qui siamo arrivate a parlare dei Tamil, comunità che in parte Chiara, questa ragazza, conosceva già. A Palermo bisogna tenere conto che si trova proprio la più grande comunità Tamil d’Italia. Chiara mi fece presente che a settembre ci sarebbe stata una processione e che il lavoro l’avremmo potuto affrontare insieme. Così, dopo una ricognizione storica e un confronto sul posto con alcuni dei componenti di questa comunità, ci siamo trovate il 4 settembre a Palermo per vivere un giorno di riti e preghiere con la comunità Tamil.

Com’è cambiato il tuo approccio in questo primo lavoro documentaristico?

Rispetto ai miei lavori precedenti, il salto maggiore è stato quello di passare da un’immagine estetica a un’immagine narrativa. Ho avuto l’occasione di dimenticare e tralasciare la pura tecnica, facendo emergere i lati positivi di una fotografia mossa o sfocata. Il fotogiornalismo a volte richiede perfino questa libertà per meglio raccontare una storia. Per questo reportage l’unica decisione a priori è stata il bianco e nero, il resto è venuto un po’ da sé.

Ci racconti qualcosa sui Tamil?

Sono una comunità molto accogliente; siamo state insieme a loro tutta una giornata, senza mai passare un momento in cui non ci siamo sentite parte anche noi della loro realtà. È naturale che durante i riti, quando si entra in luoghi diversi da quelli usuali, si deve tenere conto di usanze e regole altrui, ma questo fa parte di qualsiasi comunità, anche quella Cristiana. È per questo motivo che in primis c’è stato grande rispetto reciproco. Uomini e donne durante questa giornata collaborano con vero spirito comunitario al fine di celebrare al meglio il rito.

Ti racconto un aneddoto simpatico che mi è capitato durante questa giornata. Quando siamo arrivate, uno dei primi uomini che abbiamo incontrato era accompagnato dalla figlia, di nome Cristiana. Dato che ci è parso strano avesse questo nome, gli abbiamo chiesto il motivo; ci rispose che era il nome della prima signora anziana che aveva avuto modo di assistere appena arrivato in Italia, così ha voluto chiamare la figlia con lo stesso nome. Molti di loro si dedicano ad attività di lavoro come l’assistenza domiciliare. Poi il padre ci ha fatto presente che sarà uno dei cinque uomini che parteciperanno attivamente al rito degli spilloni, e che da lì a poco si sarebbe congedato per dare il via alle celebrazioni. Così, mi sono ritrovata a custodire la figlia per diverse ore, dovendomi destreggiare fra racconto fotografico e mamma per un giorno. Dico questo con ironia naturalmente, ma è significativa questa fiducia concessa per comprendere questo loro spirito di condivisione, convivialità. Tanto è vero che, alla fine della giornata, terminato il rito degli spilloni e la processione, sono stata invitata a restare con la comunità per condividere il pasto che era stato preparato, nonostante fosse ormai l’una di notte.

Quindi grande condivisione e apertura.

Mi è capitato di seguire processioni o celebrazioni che hanno una lunga storia, dove purtroppo non ho avuto un riscontro caloroso come nel caso dei Tamil. Forse, come tutte le cose, quando vengono raccontate troppe volte, l’entusiasmo nella narrazione scema nel tempo. I Tamil, in effetti, non si sono mai tirati indietro, hanno sempre risposto alle nostre curiosità, non credo siano abituati effettivamente a ricevere attenzione da parte di esterni.

In cosa consiste il rito degli spilloni?

È un rituale che si svolge in segno di gratitudine nei confronti di Ganesh, in seguito ad una grazia ricevuta. Consiste nell’utilizzo di spilloni che trafiggono diverse parti del corpo, dal naso alla schiena: la sofferenza è vissuta come un ringraziamento. Durante questo rito, che poi si sposta in processione per le vie della città, trasportando un altare, gli uomini urlano ripetutamente, per farsi coraggio, la parola Arogara, termine associato al Dio della Guerra. A questo rito, sebbene in diversa maniera, partecipano anche i bambini. Durante la manifestazione lo scorso anno hanno partecipato cinque uomini e cinque bambini, ognuno di questi accompagnato da una persona, così da ritrovarsi a fare un lavoro di coppia durante tutte le fasi del rito.

Come viene accolto questo rito dai palermitani?

C’è un rapporto molto armonioso, in particolare tra i Tamil e la Comunità di S. Rosalia, una amicizia di lungo tempo, mi raccontavano. La chiesa di S. Rosalia si trova sul percorso della processione dei Tamil i quali, una volta davanti a questa, fanno un inchino in segno di rispetto nei confronti di un’altra comunità che li accoglie da ormai diversi anni.