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Oggi sono settant’anni dalla strage di Portella della Ginestra, l’episodio di sangue che ha battezzato la Repubblica italiana.

Pensando al terrorismo italiano, vengono subito in mente gli anni Settanta, con i loro nodi ideologici, il piombo e l’acutissima tensione politica e sociale. In realtà, le pratiche terroristiche in Italia sono vecchie almeno quanto la Repubblica, e hanno diversi colori.

Il colore della strage di Portella della Ginestra non è mai stato chiarito, perché non è mai stato chiarito il mandante. Il Primo Maggio del 1947, alcuni banditi fecero fuoco su una folla di lavoratori — soprattutto agricoli — riuniti in un comizio a pochi chilometri da Palermo, uccidendo undici persone. Si sa chi fu a premere fisicamente il grilletto: Salvatore Giuliano, un “bandito” che in quegli anni imperversava per le campagne siciliane, insieme ai suoi uomini. Nel corso degli anni sono state proposte molte versioni su chi abbia armato Giuliano e perché: nessuna però del tutto esplicativa.

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Lo stesso Giuliano, dopo più di mezzo secolo dalla sua morte, è ancora una figura avvolta nel mistero. Innanzitutto, non si è ancora riusciti ad appurare quanto fosse coinvolto nelle dinamiche mafiose dell’isola. Tommaso Buscetta, uno dei più importanti boss mafiosi della seconda metà del Novecento, sostenne durante la sua collaborazione con la giustizia che Giuliano fosse “un uomo d’onore,” ma qualsiasi effettivo legame con le cosche non è stato mai dimostrato.

Giuliano, insieme ai suoi uomini, si appostò a breve distanza dalla folla che si era riunita in attesa di un comizio, al quale avrebbero parlato alcuni importanti esponenti del Partito Comunista locale. Poco prima che il comizio cominciasse, iniziarono a sparare con dei mitra direttamente addosso alle persone. Oltre ai morti, ci furono una trentina di feriti.

Lo scopo generale dell’attentato non è molto difficile da comprendere. Qualcuno voleva intimidire — e non solo, vista la crudezza del fatto — i braccianti, che chiedevano redistribuzioni delle terre e un miglioramento delle loro condizioni di vita. La Sicilia, allora, era una terra poverissima, in cui la maggior parte degli appezzamenti era di proprietà di pochi ricchi.

Una volta compiuto l’attentato, Salvatore Giuliano iniziò a diventare una persona troppo scomoda anche per chi si era servito di lui. Tre anni dopo venne trovato morto a Castelvetrano, in provincia di Trapani. Anche su come il bandito sia stato ucciso non c’è una versione certa e ufficiale — nel corso dei decenni ne sono state proposte addirittura cinque.

Salvatore Giuliano / Wikimedia Commons
Salvatore Giuliano / Wikimedia Commons

All’epoca si disse che Giuliano avesse le spalle coperte addirittura dal Ministro dell’Interno, Mario Scelba. Nei giorni successivi alla strage, il Ministro prese la parola in Parlamento e sostenne che non ci fosse alcuna finalità politica nel fatto di sangue, ma che doveva essere considerato “un fatto circoscritto.” Parole fuori luogo, ma figlie del clima di grande tensione che percorreva l’Italia appena uscita dalla guerra. Le responsabilità di Scelba non sono mai state provate, nonostante politici siciliani anche di grande rilievo come Girolamo Li Causi abbiano spesso ventilato, se non un suo coinvolgimento, almeno la sua connivenza.

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I mandanti, con ogni probabilità e come è unanimemente riconosciuto, sono stati appunto i grandi possidenti della zona, che sentivano minacciata la propria posizione di supremazia economica e sociale. Nonostante l’attentato e la repressione, i contadini riuscirono ad ottenere una parziale vittoria nel 1952, quando 150 piccoli lotti di terra vennero redistribuiti. La tensione, infatti, all’indomani della strage non si placò — nei mesi successivi, Giuliano diede fuoco a numerose sedi del PCI e del PSI.

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Nonostante numerose inchieste e cicliche voci di nuove presunte prove che incriminerebbero questo o quel mandante, la mano precisa che ha incaricato Giuliano della strage non è mai stata trovata. C’è chi sostiene anche che Giuliano, legato ad ambienti conservatori e militante del Movimento Indipendentista Siciliano, abbia agito da solo, di sua spontanea iniziativa.

Questo dramma, nebuloso e atroce, segnò l’inizio di una nuova collusione tra i vari poteri dell’isola — in particolare tra l’alta borghesia, la mafia e le sfere più conservatrici della politica nazionale e locale. Una collusione che è durata a lungo e si fa sentire ancora oggi, funestando l’isola e il Paese sotto una coltre di omertà, soprusi e violenza.

Restano i morti: in larga parte membri della minoranza albanese residente in zona. Ancora oggi la loro morte resta impunita. Qualche anno dopo, sul posto venne eretta una lapide commemorativa, sotto alla quale oggi si sono dati appuntamento i segretari dei tre principali sindacati, per ricordare il settantesimo anniversario del loro sacrificio.  


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