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Il candidato conservatore Raisi, che sembra un po’ la caricatura dell’iraniano conservatore con il suo turbante nero, si è focalizzato sull’importanza delle politiche ecologiche e la gestione dell’acqua.

In questo momento, a Teheran, si sta tenendo il primo dibattito televisivo per le elezioni presidenziali iraniane, programmate per il prossimo 19 maggio. I sei candidati si stanno confrontando su questioni di politica interna ed estera davanti alle telecamere della TV nazionale.

I dibattiti televisivi hanno caratterizzato le ultime due tornate elettorali iraniane, nel 2009 e 2013 — cinque anni fa, la buona prova sugli schermi di Hassan Rouhani fu uno dei fattori chiave per la sua vittoria. In questo caso, però, non era affatto scontato che avesse luogo: il 20 aprile, la commissione elettorale aveva bloccato tutto, ritornando sulla sua decisione solo in seguito alle proteste unanimi dei candidati.

Il sistema di governo iraniano è un bizzarro ibrido tra dittatura teocratica e democrazia presidenziale: c’è una guida suprema religiosa, l’Ayatollah Ali Khamenei, che sta sopra gli organi democratici ed è di fatto la massima carica dello Stato: attorno a lui si riunisce un consiglio di chierici—saggi e una serie di istituzioni che si occupano di “salvaguardare la rivoluzione islamica.”

Queste istituzioni religiose sorvegliano una serie di organismi semidemocratici che governano la Repubblica, come la figura del Presidente. Ad ogni elezione, la commissione elettorale religiosa riceve centinaia di richieste di candidatura, che ha il potere insindacabile di ammettere o no alla contesa elettorale. Spesso, in passato, la commissione ha fatto vittime illustri: quest’anno ha escluso dalla competizione l’ex Presidente Ahmadinejad, visto da Khamenei e dalla Commissione come una figura troppo destabilizzante — i rapporti con gli USA non erano mai stati tesi negli ultimi 20 anni come durante il suo periodo in carica.

Era stata proprio la Commissione a stabilire la revoca del dibattito e successivamente a concederne l’autorizzazione, a patto che i candidati “non adombrassero l’immagine dell’Iran all’estero.” Così i sei candidati tra cui gli iraniani saranno chiamati a votare hanno preso posto in un dibattito per certi versi sorprendentemente simile a quelli a cui siamo abituati, per altri piuttosto spiazzante: la TV continua a ripetere che i candidati, anche se si combattono, in realtà non si disistimano affatto, anzi, e di tanto in tanto dal nulla viene chiesto ai contendenti se hanno voglia di prendersi una pausa.

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Il favorito nella corsa alla presidenza è sempre Rouhani, che rivendica i successi conseguiti in questi anni come l’accordo sul nucleare stretto con gli USA. La principale minaccia alla sua rielezione è Ebrahim Raisi, un candidato conservatore. Non esistono veri e propri sondaggi ufficiali in Iran, ma secondo molti analisti e la TV di stato Raisi potrebbe essere molto vicino a Rouhani. Senza dubbio, è molto apprezzato dalla Guida Suprema Khamenei — e questo potrebbe essere un fattore molto importante per garantirgli una spinta ulteriore alle urne.

Il dibattito si è tenuto soprattutto su economia, occupazione giovanile e futuro — a nessuno dei candidati è stato chiesto che poster aveva in camera a sedici anni. Rouhani ha indicato come priorità incentivare l’occupazione giovanile per dare più opportunità alle giovani coppie che intendono sposarsi — nonostante rivendichi l’aumento dei posti di lavoro sotto la sua presidenza, avendo creato, a suo dire, 700.000 posti di lavoro per le donne.

L’occupazione, specie quella tra i minori di 30 anni, è un tema molto sentito in Iran. Mohammad Ghalibaf, sindaco conservatore di Teheran, si è lanciato in un battibecco con il presidente affermando che Rouhani aveva promesso quattro milioni di nuovi posti di lavoro. Rouhani l’ha interrotto con un secco “bugiardo.” Ghalibaf, nonostante non sia indicato come una minaccia seria, sembra essere piuttosto temuto da Rouhani. Durante il dibattito, il sindaco di Teheran ha accusato il presidente di essere lontano dai bisogni dei cittadini, “il governo del 4%,” non consapevole dei reali bisogni delle persone.

Il candidato Raisi, invece, che sembra un po’ la caricatura dell’iraniano conservatore con il suo turbante nero, si è focalizzato sull’importanza delle politiche ecologiche e sulla gestione dell’acqua. “L’ambiente è molto importante, e la sua conservazione può essere sfruttata per creare posti di lavoro,” ha dichiarato. Il tema dell’acqua, in particolare, è piuttosto sentito — in un paese che al suo interno conta vaste aree desertiche.

Raisi è rimasto piuttosto distaccato ad osservare Rouhani e Ghalibaf a prendersi per i capelli. “Non dovremmo sempre stare a parlare di conservatori e riformisti. La gente non ha bisogno di case?” Il momento più pulp è stato raggiunto quando Ghalibaf ha mostrato al pubblico un foglio con evidenziate le supposte prove delle frottole di Rouhani — o quando il candidato riformista Jahangiri ha accusato Ghalibaf di non aver ancora dato avvio alla raccolta differenziata a Teheran.

Secondo la maggior parte dei commentatori, come Hamid Memarian di Free Radio Europe, il vincitore dello scontro è stato Rouhani, risultato il candidato più preparato. Una discreta prova è stata condotta anche da Jahngiri, che secondo i piani di Rouhani avrebbe dovuto partecipare come suo gregario — è il suo vicepresidente — ma che ha fatto quasi una figura migliore di lui. Per sapere chi vincerà e terrà in mano una leva importante delle sorti del medioriente bisognerà aspettare il 19 maggio. Nel frattempo sono previsti altri due dibattiti — sempre che la commissione elettorale non si metta di mezzo.