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Qualunque sia l’esito del referendum sull’assetto costituzionale del paese, la Turchia potrà continuare a sfruttare gli accordi sull’immigrazione per ottenere concessioni da parte dell’Ue.


Questo articolo fa parte della nostra Guida essenziale al referendum in Turchia.

L’esito del referendum di oggi, specialmente in caso di vittoria del sì, potrebbe modificare profondamente la Turchia, e di conseguenza anche le sue relazioni con l’Unione europea. Ma ci sono alcuni aspetti nei rapporti tra Ankara e Bruxelles destinati a rimanere pressoché immutati. Uno di questi è la gestione dei flussi di migranti e richiedenti asilo provenienti dal Medio Oriente.

Circa un anno fa, il 18 marzo 2016, è entrato in vigore l’accordo sui richiedenti asilo tra Unione europea e Turchia. Il contenuto dell’intesa è semplice. In primo luogo esso stabilisce che i  migranti che sbarcano in Grecia vengano rimandati in Turchia se non presentano domanda d’asilo presso le autorità greche. L’accordo prevede inoltre che per ogni migrante siriano che viene rimandato in Turchia dalle isole greche un altro siriano venga trasferito dalla Turchia all’Ue attraverso dei canali umanitari. In cambio, il governo turco ha ottenuto la promessa europea (poi largamente disattesa) di liberalizzare i visti turchi entro lo scorso giugno, e di rilanciare “il prima possibile” il negoziato per l’ingresso della Turchia nell’Ue. Altro punto rimasto valido soltanto sulla carta.

L’accordo sui rifugiati seguiva quello già firmato alla fine di novembre 2015 tra Ankara e Bruxelles sui migranti. Si trattava di una “misura d’emergenza”, pensata per far fronte ai grandi flussi di migranti sulla rotta balcanica che in quel periodo era particolarmente trafficata. Una misura che però è tuttora in atto, e a detta del commissario europeo all’immigrazione Dimitris Avramopoulos “sta funzionando”. L’accordo prevedeva che l’Ue si impegnasse a versare 3 miliardi di euro alla Turchia da utilizzare per il miglioramento delle condizioni di vita dei rifugiati, che le autorità turche dovranno di fatto trattenere sul proprio territorio, evitando che partano verso l’Europa. Anche in quel caso si era parlato di apertura di Schengen per i cittadini turchi e di “ripresa con forza” dei negoziati di adesione con Ankara. Sappiamo come sono andate le cose da allora.

Dimitris Avramopoulos, CC EU2016 SK / Flickr
Dimitris Avramopoulos, CC EU2016 SK / Flickr

Questi due accordi, conclusi a distanza di meno di cinque mesi l’uno dall’altro, sono probabilmente il miglior successo diplomatico nella storia recente dei rapporti tra Ue e Turchia. Un accordo in materia non era scontato, soprattutto in una fase di raffreddamento nelle relazioni tra i due attori in questione. Segno che la gestione dei flussi migratori verso l’Europa è stata riconosciuta da entrambe le parti come uno (dei pochi) terreni sui quali è possibile impostare un dialogo alla base di alcuni interessi condivisi. Per gli Stati membri dell’Ue, l’accordo con la Turchia è un prezioso toccasana davanti alla loro incapacità di accordarsi per un sistema efficiente di ricollocamento dei richiedenti asilo in Europa. Il governo turco vede invece i migranti come un’ottima carta da giocarsi per cercare di riaprire l’estenuante trattativa di adesione all’Ue.

Nei mesi di tensione nei rapporti Ue-Turchia che hanno preceduto il referendum, alcuni esponenti del governo turco hanno minacciato più volte di cancellare gli accordi con l’Europa sui migranti. Fatti accaduti in particolare dopo che Germania e Olanda avevano vietato ad alcuni ministri turchi di tenere sul loro territorio alcuni comizi elettorali in vista del referendum. Alla fine però quelle minacce non si sono concretizzate. Segno che si trattava di una risposta a caldo, dettata dall’ira per l’affronto subito, più che da un vero calcolo di convenienza.

“La Turchia è un Paese europeo e come tale è parte della soluzione della crisi migratoria”, ha dichiarato qualche giorno fa l’ambasciatore turco presso l’Unione europea. Parole che fanno ben intendere la posizione di Ankara. Per questo è logico immaginare che, qualunque sia il risultato del referendum, su questo fronte nulla cambierà. La Turchia potrà continuare a sfruttare a proprio vantaggio gli accordi sui rifugiati, cercando di ottenere un trattamento di favore dall’Europa o quantomeno come estremo rimedio per ricattarla.


Il sultano della porta accanto

untitled-1L’esito del referendum potrebbe stravolgere non solo l’assetto istituzionale della Turchia, ma anche gli equilibri politici ed economici regionali. Che cosa cambia se vince il sì? E perché questo possibile esito desta preoccupazione tra le fila dei Paesi europei?

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