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Lo scorso novembre, the Submarine aveva intervistato Luigi Balocchi, autore dell’unico romanzo pubblicato sul caso dell’omicidio di Chiara Poggi a Garlasco, Il morso del lupo.

Avevamo incontrato Balocchi ad una presentazione a Mortara, il suo paese, dove ci annunciava la prossima pubblicazione di Atti di devozione, raccolta di liriche per i tipi di puntoacapo editrice.

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Personaggio non poco sorprendente, Balocchi si presenta come un cinquantenne atletico e fuori da comode etichette. Anzi, pretende gli sia riconosciuta una patente di cattivo soggetto, o quantomeno di anticonformista autentico. Dalla lettura del Morso del lupo, dichiaratamente autobiografico, se ne ricavava già un’immagine piuttosto torbida. La curiosità per Atti di devozione, restava molto accesa.

La parola atti – specie al plurale – conserva il doppio senso tra l’azione e un complesso di documenti. Unita a “devozione” allude a una serie di comportamenti coerenti di dedizione e sottomissione, con una forte ambiguità tra l’accezione in senso religioso, o verso altro. Anche la controcopertina indulge nell’ambiguità, con una quartina dove un’immagine naturalistica schiude l’universo poetico:

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“Ecco luminosi papaveri sferzati dal vento.

 Ecco l’istante, l’immenso.

 Fare l’amore, con dissoluta libertà.

 Nella certezza della nostra redenzione.”

Atti di devozione inizia con una lirica, senza una prefazione, un’introduzione, una dedica. O forse è esso stesso per intero una dedica, come il titolo suggerirebbe. Nonostante il generale scetticismo che accompagna la pubblicazione di raccolte di poesie, abbiamo riscontrato che la promessa del suo autore “pubblicare un libro di poesie può essere importante,” benché pretenziosa, sia risultata esaudita.

È una raccolta che si legge come un racconto, d’un fiato, dall’inizio alla fine, per poi ricominciare, più lentamente, per godere appieno dei suoi squarci, delle sterzate di tono, dei salti di tempo.

Atti di devozione risulta importante nella misura in cui vince la sfida come unica risposta possibile agli imperativi del desiderio, della libido, dell’innamoramento, dell’amore maturo, reale e letterario. E questo in tempi di imperante anaffettività, non è roba da poco.

Balocchi è meno pudico di Bukowski. Non ha paura di mettere in scena i preliminari, il corteggiamento animale, le carezze, i baci. Labbra, pelle, mano, carezze, occhi, formano un corpo di bellezza, sfiorata da lame di luce, ma spesso neppure definita da un genere sessuale. Anzi, il corpo amato diventa quello di un angelo, e in angelo carnale si trasforma a sua volta l’amante (L’Eden).

 

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L’atto sessuale come via di redenzione, o come rito tra Eros e Pan, o come unico esito salvifico: non sono temi nuovi, ma originalissimo è il contrasto tra alto e basso, tra cielo e bassifondi, che Balocchi evoca continuamente. In questo possiamo pensare ancora a Bukowski.

Balocchi oggi è ad Abbiategrasso, per una lettura poetica, non in un’Amerika che non esiste più, se non nella letteratura. E qui sono i suoi interni, i suoi paesaggi: anche questi svelati con una stupita ingenuità.

Fai dei reading? Come sono strutturati?

Preferisco chiamarle letture poetiche, ma non sono mai uguali, non ho scalette, improvviso. È come quando fai l’amore: ci pensi? Sono atti primordiali, emancipati dal pensiero, per fortuna.

Reading, letture poetiche, per il vecchio Bukowski erano l’apice della sua realizzazione come artista. Cocktail con tante cose buone da bere e uno stuolo di donne adoranti da sedurre.

Qui in Italia non è proprio così. Ma anche le aspettative sono diverse. Io preferisco il modello “alla disperata, con entusiasmo.” Poi è vero, il poeta conserva un potenziale di attrazione, quanto al bere, oggi è previsto del thé.

Atti di devozione vanno letti e riletti, sono importanti, aveva ragione Luigi Balocchi, a pubblicarli.