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CTRL è un magazine di reportage e ritratti di taglio narrativo, nato nel 2008 a Bergamo, dov’è di stanza tuttora.

Esce in questi giorni il numero 70, di febbraio-marzo, dedicato al macro-tema del tempo e del tempo perso. Domani sera ci sarà la presentazione a Milano, in Santeria Paladini 8, con Carlo Ravasio, e tra il pubblico ci saremo anche noi ?

Abbiamo scambiato due parole con Nicola Feninno, direttore del magazine, per capire perché si fa un numero intero sul tempo e, in generale, come si fa CTRL.

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Partiamo dal titolo, “Nel paese del tempo perso.” È un modo per recuperare l’accezione positiva di quello che comunemente si considera un disvalore?
In realtà, più che un’accezione positiva o negativa, il titolo esula da questo tipo di etichette — è una definizione molto più libera, che il lettore può intendere come preferisce. Nel concreto, si lega alla storia di copertina, che abbiamo affidato a Carmen Pellegrino, scrittrice e abbandonologa, cioè scienziata dei luoghi abbandonati, e al fotografo Alessio Paduano.

Di cosa si tratta?
C’è questo borgo sulla costiera amalfitana, Atrani, che è il più piccolo borgo italiano per superficie, di soli 0,12 chilometri quadrati. Il campanile del paese suonava ogni quarto d’ora, finché l’ultimo campanaro — della famiglia Corvino, come tutti i suoi predecessori, per tradizione — non ha deciso di dimettersi. Così Atrani è rimasto “senza tempo,” se vogliamo metterla metaforicamente. Estendendo il discorso, il paese del tempo perso è anche quell’Italia che esiste e resiste, fatta di piccole tradizioni, che formano un organismo piuttosto vasto, anche se non ci si pensa mai, e che rischiano di scomparire dai nostri radar della realtà, attenti soprattutto a ciò che è sempre connesso.

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Atrani / Wikimedia Commons

Ampliando questo tema, abbiamo deciso di affiancare a questa altre due storie: Valerio Millefoglie ha seguito e cronometrato per un’intera giornata un gruppo di cronometristi sportivi, che per professione inseguono e misurano il tempo. Invece, spostandoci sul piano del tempo atmosferico, Davide Gritti ha incontrato a Torino un fisico dell’atmosfera, Claudio Cassardo, che da anni fotografa le nuvole che vede e, in un blog personale, le associa a momenti della sua vita passata. Una sorta di “meteorologia interiore.”

Dal tempo interiore al tempo veramente interiore — cioè il tempo biologico. Leggendo la tua intervista al neurochirurgo Arnaldo Benini si scopre che c’è anche una definizione strettamente neurologica di “tempo perduto.”
Esatto. Arnaldo Benini mi ha spiegato come si forma la concezione del tempo nel nostro cervello. Il “tempo perduto” indica la latenza tra la percezione sensoriale di un evento e la sua percezione cosciente — una latenza che il nostro cervello “comprime,” dandoci l’illusione della simultaneità. Tra l’altro, quando è uscita la Recherche di Proust, l’espressione “tempo perduto” non era ancora di uso comune come oggi, e il padre di Proust era un medico di fama: secondo Benini — le cui competenze spaziano dalla medicina alla letteratura — è probabile che lo scrittore sia venuto così a conoscenza degli studi neurologici condotti in area francese, traendone ispirazione.

A proposito di suggestioni letterarie, il campanaro che suona ogni quarto d’ora, i cronometristi sportivi, il meteorologo che fotografa le nuvole, sembrano personaggi usciti da un racconto di Cortázar — ce n’è uno, per esempio, che spiega come impiegare il proprio tempo gettando un capello annodato nel lavandino e cercando di recuperare proprio quel capello.
In effetti il tempo perduto dipende molto dalla prospettiva: da una galassia remota, per dire, tutto il nostro affannarsi appare sicuramente inutile. Ma qui sfociamo nella filosofia.

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Tornando con i piedi per terra: come nasce un numero di CTRL? E soprattutto, si pronuncia C-T-R-L o Control?
Pronuncia libera, noi lo chiamiamo C-T-R-L, ma c’è qualcuno in effetti che dice control.
In questo caso specifico, il numero 70 segue a stretto giro il numero 69, che aveva come tema la rivoluzione — e la rivoluzione viene vista solitamente come un evento puntuale, ancorato a una data precisa, come il 14 luglio 1789. Ma dopo la rivoluzione c’è il tempo, che ne influenza la percezione. Questo è stato lo spunto. Scegliamo sempre un tema il più generale possibile per cercare di affrontarlo in maniera narrativa — non nel senso di fiction, ma reportage e ritratti — e lateralmente. La “cucina” della redazione si muove intorno a questo tema, seguendo gli spunti più disparati, anche da collaboratori esterni. Poi ci coordiniamo e decidiamo a chi affidare le varie storie. Nella seconda parte del magazine ci sono invece una serie di rubriche, che seguono dei loro binari e si collegano al tema principale solo marginalmente. Cerchiamo di non essere didascalici e di dare un taglio umano al racconto, seguendo un ritmo lento, per riavvicinare il lettore alla realtà, rifiutando un po’ il “giornalismo da tastiera.”

Domani alle 19 ci sarà la presentazione del numero 70 a Milano, in Santeria Paladini 8. Come si svolgerà la serata?
Cercavamo un modo per presentare il numero in linea con quello che facciamo, ma rompendo gli schemi della classica presentazione, per cui da una parte ci sono quelli che parlano — magari abili oratori — e dall’altra il pubblico, che in certo senso “subisce.” Così abbiamo deciso di invitare non un esperto oratore, ma un perfetto sconosciuto con un’esperienza da raccontare, che si potesse legare in maniera laterale  al tema del tempo: Carlo Ravasio, 84enne, che a 70 anni ha impiegato 187 giorni del proprio tempo per camminare da Mosca a Valencia. Una storia che abbiamo già raccontato sul nostro magazine, e che pensiamo possa rompere la barriera con il pubblico, che potrà dialogare con lui. C’è un canovaccio, ma non un copione preciso della serata: molto spazio è lasciato all’improvvisazione.