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La destra milanese tuona contro l’africanizzazione della città. Ma riportare la piazza ai fasti della tradizione è possibile.

Ieri sono arrivate in piazza del Duomo a Milano le tanto chiacchierate palme sponsorizzate da Starbucks — e, a quanto pare, non piacciono a nessuno. In primis al sindaco Beppe Sala, anche se per ragioni istituzionali ha dovuto optare, come gli antichi filosofi scettici, per una prudente sospensione del giudizio: “Buona o cattiva idea? Certo che Milano osa eh,” ha scritto su Instagram.

La stessa sovrintendente dei Beni Architettonici Antonella Ranaldi ha detto che le nuove aiuole — che presto saranno arricchite anche con un filare di banani — potrebbero essere considerate quasi una “provocazione.” Il che può piacere — come piace a Philippe Daverio, secondo cui d’altronde “la banana” è un simbolo perfetto per la Repubblica attuale — o sembrare un passo oltre il confine del kitsch.

I difensori della scelta si appellano alla continuità storica: le palme erano infatti presenti nelle aiuole della piazza già a fine Ottocento, secondo il gusto per l’esotico tipico dell’Europa colonialista. L’architetto Marco Bay, autore della nuova sistemazione arboricola (suo anche il giardino dell’Hangar Bicocca. Quello che sembra un campo incolto? Sì), ha sottolineato che le palme “vivono felici in città da più di cent’anni.”

Non la pensa così la destra cittadina, che si è spinta oltre la semplice disapprovazione estetica, tuonando contro l’“africanizzazione” del capoluogo lombardo.

“Sindaco, la prego, Milano non è una città africana,” si legge tra i commenti al post su Instagram del sindaco. Viviana Beccalossi, assessora e coordinatrice di Fratelli d’Italia in regione, ha colto un riferimento alla scimmia di Gabbani al festival di Sanremo. A poco è servita la precisazione del Comune su Facebook: le palme provengono da vivai italiani e sono capaci di resistere a temperature molto basse.

Ma come dar torto alle paure degli xenofobi meneghini? D’altra parte, le palme sono arrivate proprio nel momento in cui la Madonnina è spenta — per interventi di manutenzione. Venuta meno la protezione del divino, gli agenti colonizzatori dell’islamismo radicale hanno potuto sferrare il proprio attacco mortale alla cristianità architettonica della piazza. Come la bandiera nera su San Pietro auspicata dallo pseudo-Califfo Al-Baghdadi, le palme di fronte al Duomo sono un simbolo tangibile della sconfitta dell’Occidente.

Abbiamo pensato, quindi, di suggerire al Comune soluzioni di giardinaggio alternative, per reagire alla decadenza culturale e riportare Milano agli antichi splendori.

1. Bosco di conifere

Diciamolo: Milano è una città mitteleuropea prima che mediterranea. E cosa c’è di più mitteleuropeo delle conifere, ossatura dell’Europa alpina, emblema austero della tempra d’animo dei popoli germanici — primi tra questi, i Longobardi? Proponiamo un bel filare di abeti — magari disposti a formare la scritta MILANO, per non scomodare simboli più espliciti — utili anche da addobbare a Natale, invece di un albero solo.

2. Campo di grano

Certo, anche palme e banani possono rappresentare un’utile fonte di approvvigionamento alimentare per la città — ma che dieta poco equilibrata! Per dirla con il capogruppo di Forza Italia Gianluca Comazzi: ve lo vedete “Alessandro Manzoni che stacca una banana per la merenda”? Meglio tornare all’italica ubertà del campo di grano, già di recente riproposto a Milano durante l’Expo, con grande riscontro di pubblico e di raccolto.

3. Risaia

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Se il campo di grano sembra troppo meridionale ai palati nordici più raffinati, la soluzione è semplice: allagare la piazza per farne una marcita, in continuità con le campagne padane circostanti. Al canto del muezzin rispondiamo con il canto delle mondine, che si spanderà soavemente per tutto il centro cittadino. Questa proposta raccoglierebbe senza dubbio il supporto dei comitati per la riapertura dei navigli: le nuove vie d’acqua sopperiranno alla necessaria e copiosa irrigazione.

4. Granoturco

A dispetto del nome, il granoturco è forse il simbolo più adatto a rappresentare le secolari tradizioni culinarie lombarde. I bambini potranno staccare le pannocchie per sgranocchiarle all’ombra delle guglie e, dopo il raccolto, polentata collettiva in piazza. D’inverno, poi, il remulas (torsolo) delle pannocchie può essere utilizzato come combustibile green e del tutto rinnovabile per le stufe al posto del pellet.

5. Uve da prosecco


Per valorizzare l’eccellenza della macro-regione Lombardo-Veneta, non c’è nulla di meglio di uno dei vini più amati al mondo, fiore all’occhiello delle nostre esportazioni: il prosecco. Il terreno potrà non essere dei più adatti, ma lo strato di polveri sottili offrirà un ottimo sostitutivo di erbicidi e pesticidi — conferendo al vino un retrogusto metallico inconfondibile.


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