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Lo scorso giovedì 2 febbraio la polizia durante un’ispezione ha aggredito e violentato con un manganello telescopico un ragazzo di 22 anni.

È successo a Aulnay-sous-Bois, comune francese di 80 mila abitanti di Senna-Saint-Denis, una zona calda per la polizia da piú di dieci anni ormai, dopo essere stata interamente coinvolta nella rivolta delle banlieue parigine del 2005.

Già allora lo stato aveva cercato di disegnare un collegamento tra il fondamentalismo islamico e la sollevazione popolare — in particolare proprio nel dipartimento di Aulnay-sous-Bois.

(Era quella volta in cui Sarkozy chiamò i manifestanti “feccia.” Sebbene la tensione razziale fosse un elemento della sollevazione del 2005, le cause del conflitto erano interamente sociali e di classe.)

Dopo gli attentati in Francia dello scorso anno il governo socialista di Hollande aveva lasciato carta praticamente bianca alla polizia, nel contesto delle norme sullo stato di emergenza.

La condotta indecente della polizia durante l’estate scorsa è stata segnalata da organizzazioni non esattamente parte della sinistra extraparlamentare come Amnesty.

Oggi, dopo un anno di politica guerresca in casa, è chiaro che lo schema del Partito Socialista sia gravemente inadatto a gestire la situazione.

Ma niente ferma la violenza, e lo scorso 19 luglio la polizia “insegue a morte” Adama Traoré.

Negli ultimi mesi le violenze della polizia sono state assenti sulle prime pagine dei giornali — almeno della stampa non indigena. Ma quello di giovedì 2 non è il primo caso di stupro con manganello. Un altro caso è registrato lo scorso 16 gennaio dal tribunale di Bobigny. L’imputato potrebbe essere condannato a sei mesi di prigione e un anno di interdizione alla professione — ovvero, a niente. La decisione sarà deliberata il prossimo lunedì 20 febbraio.

Sono ormai quattro giorni che le proteste nel nord della Francia si susseguono incessanti. La vicenda di Theo — il ragazzo è stato identificato solo con il nome dai media francesi — rispecchia perfettamente i casi di Adama Traoré e delle tantissime violenze segnalate da Amnesty, e racconta di una forza di polizia completamente incapace di regolare la forza, che risponde con superviolenza ad ogni inconveniente.

Nel caso specifico la vicenda, catturata da riprese di telecamere a circuito chiuso e corroborata da testimoni — erano le 17, dopotutto — inizia con un banale diverbio: il ragazzo avrebbe cercato di divincolarsi mentre i poliziotti lo ammanettavano. I tre agenti lo spingono contro il muro, dove lo avevano già costretto, e iniziano a colpirlo con violenza con il manganello. Dopo i primi colpi le gambe di Theo cedono e il ragazzo crolla per terra. I tre agenti si chinano su di lui e continuano con le violenze. Dal video è evidente la furia incontrollata degli agenti, che prendono anche a calci il ragazzo.

La difesa dell’agente accusato di stupro è indecente: secondo la versione della polizia i pantaloni del ragazzo sarebbe scesi accidentalmente, nella furia della lotta, proprio nel momento in cui lui calava il manganello, che si sarebbe infilato “accidentalmente” nell’ano della vittima.

È bene ripetere che oltre allo stupro con manganello, il ragazzo è stato vittima di una violenza tale da causare contusioni al volto e alla testa.

Gli esami dell’ospedale di Aulnay parlano di una “ferita longitudinale del canale anale” e di una “lesione del muscolo sfintere anale,” con prognosi di 60 giorni. Il chirurgo che ha dovuto operare d’urgenza Theo conferma che le ferite “corrispondono chiaramente” all’introduzione di un manganello nel retto.

Nessuno vuole ripetere gli scontri del 2005, e anche Theo e sua sorella invitano i manifestanti alla calma — ma dalla politica francese arrivano dichiarazioni così deboli, ma così deboli, che è difficile chiamarle prese di posizione. Certo, sono passi avanti dalla “feccia” di Sarkozy — ma quando di fronte a questo orrore la politica sente comunque il bisogno di fare concessioni come “Sappiamo quanto i poliziotti siano esposti nella lotta al terrorismo e alla violenza,” come dice Cazeneuve, il nuovo primo ministro, è chiaro che l’ombra di Le Pen e delle elezioni si stagli piú profonda di quella dei manifestanti, e della semplice ma mai scontata dignità umana.

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