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La settimana scorsa Matteo Renzi è timidamente tornato sulla scena pubblica, aprendo un nuovo blog su Medium. Il post, in cui Renzi faceva l’ennesima analisi della sconfitta — sempre uguale, anche se erano passate settimane — ci aveva già preoccupato. Ma è stata l’esplosione del conflitto interno del Pd degli ultimi giorni a imporci di scrivere qualcosa.

Di scrivere a lui.

Graffito di Matteo Renzi a Lione. Foto CC thierry ehrmann / Flickr

Una modesta risposta

Ciao Matteo,

Nel tuo esordio da blogger — qui su Medium — chiedevi “idee? suggerimenti? critiche? proposte?” Che errore! Poi qualcuno ti scrive davvero.

Mi presento: sono un elettore di vecchia data del Pd — di quella infausta generazione che ha iniziato a votare, con il Pd — che hai perso per strada. Peggio: sono un elettore che hai perso per strada ma che ha comunque votato Sì al Referendum. Mi conti nel tuo 40%, ma sbagli. L’ho fatto allora perché riconoscevo prioritaria la necessità di stabilità per continuare ad affrontare con umanità l’emergenza profughi.

Alle prossime elezioni, bisognerà vedere cosa dirai tu a riguardo, e cosa diranno gli altri.

Ti scrivo per provare a spiegarti come hai perso il mio, e tanti, tanti altri voti. Ho deciso di scriverti perché durante il troppo breve silenzio dopo le dimissioni, pensavo stessi maturando una nuova linea. Invece, perdonami, ho il sospetto tu non abbia capito, beh, niente.

(Scusa se mi permetto)

Siete riusciti a scomodare perfino Napolitano. Ha ragione. In questa improvvisa fregola elettorale che ti unisce a Salvini e Grillo sei in realtà enormemente isolato. Salvini e Grillo hanno due validi motivi per chiedere le elezioni: il primo è una banalità retorica (la tua sconfitta al referendum); il secondo , è una questione di pragmatismo politico: non sono al governo!

È inutile nascondersi dietro un dito — l’unico motivo per cui il Pd dovrebbe volere elezioni anticipate è per riportare te al potere. Con tutto il rispetto dovuto all’attuale Presidente del Consiglio, è difficile dar torto a chi chiama il governo Gentiloni un “Renzi Fantomas.”

Dici di aver imparato la lezione del referendum — che hai personalizzato troppo — ma a me sembra che invece tu stia tornando ai vecchi vizi.

Proviamo a vedere insieme le cose da un altro punto di vista, ma partendo da un terreno comune — so che prima che per professione, sei appassionato personalmente di politica statunitense. Guarda questo video:

“Obamacare” è il soprannome che i democratici in prima linea hanno usato per identificare la legge formalmente nota come Affordable Care Act. Sono la stessa legge, ma a distanza di anni, anni, una parte consistente dei cittadini statunitensi continua a preferire il secondo nome. Perché? Lo staff di Obama ha fatto un errore madornale: ha personalizzato aggressivamente una norma in un momento di estrema difficoltà economica.

Non importa la bontà o meno della legge stessa — che al contrario di quanto pensino gli statunitensi pecca, come lo stimulus, di essere troppo conservativa, di fronte alla pesantezza della crisi economica.

Personalizzare la politica scopre anche completamente il fianco ad attacchi da parte dei propri avversari, che non hanno più bisogno di criticare una legge nel merito, ma possono semplicemente attaccare la persona dietro le disposizioni.

Se la situazione non ti sembra familiare, lascia che ti aiuti: è esattamente l’errore che hai fatto tu.

Non metto in dubbio la tua buona volontà — per quanto sarei tentato. Voglio davvero pensare che norme come la soppressione dell’articolo 18 e l’espansione dei voucher, e la riforma costituzionale siano state disegnate genuinamente per, come dici spesso, “far ripartire il paese.”

Ed ecco il problema: non solo non hanno funzionato, ma tutti, tutti i tuoi avversari hanno potuto farle a pezzi criticando te.

Questa dovrebbe essere la lezione da trarre dagli otto anni di Obama che ci hanno regalato Trump: i buoni leader non abbassano la testa e continuano per la propria via, i buoni leader si fermano e spiegano. Non lavorano in fretta, secondo la retorica del quante cose abbiamo fatto e della palude, lavorano bene.

Soprattutto, essere leader in anni difficili come questi richiede una dote che non hai saputo dimostrare in questi anni: l’elasticità. È inutile a parole dire che si sta con il popolo, o che non si vogliono creare spaccature, poi. Non serve a niente.

Governare con elasticità vuol dire fare concessioni ai propri avversari, vuol dire cambiare direzione a volte, e sicuramente arrivarci con più lentezza. Può irritare un patito della velocità nella politica, ma non è forse meglio che procedere da soli, spediti, verso un referendum, e poi schiantarsi?

Sono sicuro che hai fior fiore di esperti che te lo dicono, ma per sicurezza: guarda che prima si va a votare, prima perdi — e perderai male, così male da rendere impossibile un altro ritorno. Ma non è quello il punto.

A spingere per elezioni immediate stai scommettendo il futuro di tutto il paese su una specie di assurdo miracolo politico, e sulla assoluta incompetenza dei tuoi avversari. È difficile darti torto sulla seconda, ma la prima — i miracoli non esistono.

Sono tanti nel centrosinistra a invitarti a rallentare, a lasciar lavorare il governo Gentiloni — soprattutto a una legge elettorale — e ad affrontare congresso e primarie dentro il Pd. Non confondiamoci: tra questi non sono pochi quelli che ti vogliono male, ti vogliono (politicamente) morto.

Ma: elasticità. Hanno oggettivamente ragione. È meglio per il paese — che in qualche modo mantiene velleità di stabilità, è meglio per te che hai tempo di ricostruire qualcosa partendo da una scala di valori — e: sei sicuro che questa sia all’interno del centrosinistra? Non farti influenzare dalle dinamiche toscane in cui sei cresciuto — ed è meglio per tutti, perché con un po’ di fortuna diamo il tempo a questi nuovi superuomini di estrema destra di schiantarsi: senza che lo facciano come Presidente del Consiglio italiani.

Hai provato a governare l’Italia: non è andata bene, ma un’altra occasione ci sarà, sei ancora abbastanza giovane, soprattutto per gli standard ottuagenari della politica italiana. Pensa a cosa vuoi fare come politico, non a quanto presto puoi tornare alla guida del paese.

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Hai provato a rispondere ad ogni accusa, ad ogni appunto, a muso duro, come quel mento fintissimo che ti sei fatto disegnare nella testata del tuo blog. Non è andata bene: è vero che oggi l’elettorato chiede uomini forti, ma chiede anche un’altra cosa — che quell’uomo forte non sia tu.

Non è detto che il leaderismo sia incompatibile con l’idea di centrosinistra — è antilogico sostenere che una guida carismatica noccia al proprio partito — ma nella storia recente tutte le operazioni su questo fronte sono fallite. Ed è fallita anche la tua.

Veltroni e Bersani, dopo sconfitte elettorali minori o uguali alla tua, si sono dimessi dalla guida del partito. Tu hai deciso di non farlo. Credo sul lungo termine scoprirai questo sia stato un errore, e credo che anche la decisione di ributtarti nella scena pubblica così presto, sia stata un’imprudenza.

Però lo sei rimasto, segretario del Pd. E allora, adesso salvalo. Guarda cosa sta succedendo negli Stati Uniti, dopo che i democratici hanno presentato una candidatura forzata. Ascolta le paure dei tuoi colleghi francesi e tedeschi.

L’Italia non può permettersi un centrosinistra a pezzi, non in questo pericolosissimo frangente: e se perché il centrosinistra sopravviva serve che tu salti questo giro — o serve rimandare questo giro di qualche mese, pensaci seriamente.


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Blogger, designer, cose web e co–fondatore di the Submarine.