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Il nuovo Governo Gentiloni vuole l’apertura dei Centri di Identificazione ed Espulsione in ogni regione italiana per facilitare i processi di allontanamento degli immigrati irregolari e raddoppiare il numero di espulsioni annue.


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Le feste di Natale lasciano sempre degli strascichi, anche nella politica nazionale. Può essere un decreto Milleproroghe farcito di qualche sorpresa o, come sta capitando, un cambio di politica su un argomento particolarmente spinoso: l’immigrazione.

Il nuovo Governo guidato da Paolo Gentiloni, infatti, sembra aver preso la questione in modo molto più aggressivo rispetto a Renzi. Partiamo dal nuovo Ministro dell’Interno Marco Minniti, in carica solo dal 12 dicembre, che ha già avanzato una serie di proposte piuttosto ruvide, spalleggiato da varie figure istituzionali.

La prima è l’apertura di un CIE in ogni regione. I CIE sono i “Centri di Identificazione ed Espulsione,” ideati dall’ultimo governo Berlusconi nel lontano 2008 e più volte accusati di essere solo poco meno inumani di un campo di concentramento. Sono già attivi cinque CIE su tutto il territorio nazionale: Roma, Caltanissetta, Trapani, Bari e Torino. Coloro che vengono identificati come individui da espellere oggi, spesso, rimangono in Italia, in quanto i CIE sono pieni e non si hanno posti dove tenerli detenuti in attesa del rimpatrio — e quindi restano di fatto in libertà.

Il potenziamento del tessuto dei CIE faciliterebbe i processi di allontanamento e potrebbe portare il numero di espulsioni annue, che oggi riguarda la cifra già ragguardevole di 5.000 persone, a 10.000. Oppure, nei sogni più rosei del Ministro, addirittura a 20.000. A Milano si è parlato di riaprire il vecchio CIE di via Corelli — cosa a cui il sindaco Sala ha subito posto un freno, nonostante si dichiari “d’accordo con le espulsioni quando è chiaro che si tratta di clandestini.”

Un altro provvedimento che viene visto come auspicabile dal Ministro dell’Interno e da molti esponenti politici è la sottoscrizione di accordi bilaterali con vari stati di origine dei profughi, come quello che l’Ue ha stretto con il Mali qualche settimana fa — peccato che molti dei Paesi con i quali questi accordi andrebbero stretti non sono, per così dire, proprio rispettosissimi dei diritti umani.

Minniti intanto ha trovato sulla sua stessa lunghezza d’onda il capo della Polizia Franco Gabrielli, che ha diramato una circolare alle proprie forze per rendere nota la nuova durezza con le quali si intende fronteggiare gli stranieri non in regola. Ecco uno stralcio della circolare riportato dall’ANSA — in un articolo, tra l’altro, dal titolo non proprio elegante:

“Conferire massimo impulso all’attività di rintraccio dei cittadini stranieri in posizione irregolare attraverso una specifica attività di controllo delle diverse Forze di Polizia.”  

E anche il resto della circolare si mantiene su questo tono, invitando gli uomini delle forze dell’ordine ad assumere “diretti contatti con gli uffici immigrazione delle Questure cui spetta l’avvio delle procedure per l’adozione dei provvedimenti di espulsione.”

Tutto questo poco prima del Capodanno, in un periodo che — come dicevamo — è segnato da una generale calma politica e da un torpore natalizio dei mezzi di comunicazione. Il coronamento delle strizzatine d’occhio istituzionali è arrivato con il discorso del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, capolavoro di cerchiobottismo democristiano, che riguardo al clima di crescente isterismo razzista in Italia è riuscito a dichiarare:

“È uno stato d’animo — ha sottolineato Mattarella — che non va alimentato, diffondendo allarmi ingiustificati. Ma non va neppure sottovalutato. Non rendersi conto dei disagi e dei problemi causati alla popolazione significa non fare un buon servizio alla causa dell’accoglienza. L’equazione immigrato uguale terrorista è ingiusta e inaccettabile, ma devono essere posti in essere tutti gli sforzi e le misure di sicurezza per impedire che, nel nostro Paese, si radichino presenze minacciose o predicatori di morte.”

Mentre nessuno guardava, insomma, sono arrivati segnali molto forti di un’istituzionalizzazione dell’intolleranza — segnali inviati con una potenza insolita per l’Italia, abituata negli ultimi anni a governi relativamente morbidi in materia di immigrazione. È interessante notare che le tre personalità di cui abbiamo riportato le parole siano tre tra le massime cariche delle forze armate del Paese.

Oltre che dai provvedimenti in senso stretto, questa piccola grave deriva si nota da alcuni fatti, alcune angolazioni con la quale la materia viene trattata: ad esempio l’utilizzo massiccio in questi giorni della parola retata, che in genere viene usata per indicare azioni di polizia contro bande criminali o mafiose, per indicare la cattura del maggior numero possibile di profughi.

Probabilmente, una scossa verso questa direzione sempre più reazionaria è arrivata dalla drammatica e controversa vicenda di Anis Amri, l’attentatore di Berlino, che dopo una non molto rocambolesca fuga è stato ucciso dalla polizia italiana a Sesto San Giovanni. Oltre che provocare una campagna senza precedenti di autoelogi da parte dello Stato e dalla polizia, l’uccisione di un terrorista “vero” nel nostro Paese ha fornito un’occasione plausibile per mettere in atto provvedimenti più duri verso i migranti.

Ed è proprio il fatto che l’intolleranza sia messa nero su bianco da autorità statali o forze armate in modo sempre più radicale ad essere il fattore più preoccupante di questo giro di vite. Forse il Governo Gentiloni ha deciso questa stretta per smarcarsi dal precedente esecutivo, di cui è accusato di essere la falsa copia, e darsi qualche tratto di personalità propria. Ma sarà molto difficile tornare indietro su certi temi come quello delle migrazioni, riguardo ai quali nessuna notizia vuol dire buone notizie.