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A febbraio scorso, l’Associazione Americana dei Librai (ABA) e Civic Economics hanno pubblicato un rapporto intitolato “Amazon and Empty Storefronts” (Amazon e negozi vuoti), con l’intento di dimostrare l’impatto complessivamente negativo che il colosso dell’e-commerce avrebbe sull’economia degli Stati Uniti. A fine settembre i dati sono stati aggiornati al 2015, e rivelano un significativo peggioramento dei trend già evidenziati per l’anno precedente.

La fonte non è proprio delle più imparziali — i commercianti al dettaglio, e in particolare i librai, sono i nemici di Amazon per antonomasia — ma i numeri dello studio meritano di essere presi in considerazione.

Gli autori si sono concentrati su due ambiti di impatto, fiscale e territoriale, per quantificare il danno provocato alle amministrazioni locali dai mancati introiti fiscali sulle vendite online e stimare il numero di negozi al dettaglio (con i relativi impiegati) che avrebbero potuto muovere un ammontare di merci equivalente.

Nel 2015, le vendite di Amazon negli Stati Uniti — di oggetti tangibili, esclusi quindi ebook e simili — hanno raggiunto quota 55,6 miliardi di dollari, il 26% in più rispetto ai 44,1 miliardi dell’anno precedente. Soltanto 27 stati, però, raccolgono tasse da queste vendite, grazie a legislazioni ad hoc. Per questo è possibile calcolare un gettito mancato, a livello nazionale, di 703,8 milioni di dollari — 625 nel 2014.

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A questa cifra bisogna aggiungere le tasse sulla proprietà, che governi statali e locali avrebbero potuto incassare se le stesse merci vendute da Amazon fossero state vendute da negozi fisici sul territorio: 528 milioni, secondo le stime di ABA e Civic Economics.

Se per magia Amazon nel 2015 non fosse esistito, negli Stati Uniti avrebbero lavorato circa 220 mila persone in più — calcolate scontando già i circa 110 mila impiegati di Amazon (di cui 90 mila full time). Un bel salto in avanti rispetto al 2014, quando il gap di forza lavoro causato da Amazon era stimato in 172 mila unità.

Abbastanza, insomma, da far pensare che nei prossimi anni la situazione possa solo peggiorare. “I nuovi numeri testimoniano che gli effetti deleteri di questo predominio sulla grande distribuzione sono solo cresciuti,” ha detto Oren Teicher, l’amministratore delegato di ABA. “I dati aggiornati, specialmente se confrontati con quelli dell’anno scorso, dovrebbero rendere chiaro ai politici statali e regionali che supportare le sane economie locali è una ricetta decisamente migliore per una crescita economica di lungo termine.”

Il report ha un punto debole: stimare le vendite al dettaglio fisiche sulla base delle vendite online vale fino a un certo punto, perché la ragione principale del successo di Amazon e dell’e-commerce in generale è (sorpresa!) la sua convenienza in termini di prezzo. La cifra di 55,6 miliardi di dollari in beni venduti nel 2015, perciò, sarebbe quasi certamente inferiore se i consumatori avessero dovuto acquistare gli stessi beni, pagandoli di più, da negozi reali — contando anche che Amazon non è precisamente il posto in cui si comprano beni di prima necessità.

È un circolo vizioso: i presupposti della crescita di Amazon — nella sua ambizione di diventare il negozio online di tutto —  coincidono con le ragioni della sua ingiustizia, non diversamente dalla grande distribuzione della moda, che basa la propria economicità sullo sfruttamento del lavoro — tanto per fare un esempio al di fuori di internet.

Secondo gli autori dello studio, è vero che i consumatori  scelgono Amazon per la sua convenienza, ma non sono abbastanza informati sui contraccolpi economici che questo comporta, influenzati anche dall’immagine comune di Amazon come creatore di posti di lavoro — cosa che, abbiamo visto, si rivela falsa nel lungo periodo.

Ma davvero, se fossero consapevoli dei danni che il settore del commercio online — di cui Amazon è responsabile a livello mondiale solo per un terzo — provoca al mercato del lavoro e all’economia locale, sceglierebbero di tornare ai cari, vecchi negozi analogici?

È difficile, in realtà, immaginare un’inversione di tendenza. L’unica vera strada che si pone di fronte ai legislatori è quella di ridurre il più possibile i margini di elusione fiscale dei colossi dell’e-commerce — praticata senza molti scrupoli attraverso meccanismi complessi e accordi bilaterali con paradisi fiscali.