Amazonian Jungle, Peru

Chi l’ha detto che copiare equivale a barare?

Copiando le termiti sono stati costruiti edifici continuamente aerati senza impianti di climatizzazione, il cuore delle balene è stato imitato per creare pacemaker e persino le zanzare — apparentemente insulse — sono risultate interessanti per creare aghi indolore.

Se hai l’opportunità di apprendere da chi sostiene la vita sulla Terra da oltre tre miliardi di anni, forse sarebbe un peccato perderla: questa è la semplice ma logica riflessione dell’economista Gunter Pauli, fondatore della Blue Economy.

L’economia Blu si fonda sul concetto di biomimesi: attraverso lo studio e l’imitazione delle caratteristiche degli ecosistemi, è possibile individuare modelli di riferimento per ideare nuove tecnologie sostenibili, senza rifiuti e in armonia con i limiti e la capacità di rigenerazione e assorbimento del nostro pianeta. Bisogna quindi ripensare i nostri modelli di sviluppo, auspicando un’unione tra le discipline scientifiche e quelle economiche per poter progettare e mettere in atto un modello di sviluppo che soddisfi i nostri reali bisogni.

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Gunter Pauli nel 2015

Di fronte alla necessità di poter contribuire alla costruzione di un nuovo modello economico, nel 1994 Pauli ha inaugurato, in collaborazione con il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (UNDP), la Fondazione Zeri, finalizzata all’adozione di scoperte innovative, per dimostrare l’applicabilità di un modello economico di produzione e consumo sostenibile e con emissioni estremamente ridotte.

Secondo l’economista, dalla prima pubblicazione riguardante le condizioni del nostro pianeta (The limits to growth, 1972) ad oggi, si ha la sensazione che tutto questo tempo sia stato perso in futili dibattiti e che ora le condizioni del nostro pianeta siano irreversibilmente compromesse.

La stessa green economy, nata per contrastare gli effetti negativi dei nostri modelli di sviluppo, persegue una logica consumistica, e fin da subito ha richiesto alle imprese di investire di più e aumentare i costi di produzione, ottenendo i medesimi risultati produttivi, ma garantendo così impatti minori sull’ambiente.

Limitare gli impatti, diminuire le emissioni e riciclare non sono più azioni sufficienti a garantire uno sviluppo sostenibile: bisogna andare oltre l’esclusiva conservazione dell’ambiente.

Lo scopo è quello di spingersi verso la rigenerazione, prendendo esempio dagli ecosistemi per sviluppare economie basate sulla sostenibilità.

I sistemi naturali ci offrono infatti interessanti e affascinanti modelli di gestione, produzione e consumo: ogni ecosistema ha raggiunto uno stato di autosufficienza, ricco di diversità. Maggiore è l’abbondanza generata, maggiori saranno le risorse che si potranno ottenere con meno sforzo e materie prime.

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Osservando gli ecosistemi noteremo, per esempio, che in natura non troviamo rifiuti: se una specie produce rifiuti probabilmente è morta o malata. Tutto viene utilizzato, i rifiuti prodotti da alcuni sono sempre un nutriente, un materiale o una fonte di energia per altri — lo stesso si potrebbe sperimentare su buona parte dei rifiuti di origine antropica, considerati un problema costoso da risolvere. I progetti blu sul riutilizzo dei rifiuti organici sono innumerevoli, dai fondi di tè e caffè per produrre funghi alle bucce di pomodoro per creare filtri solari.

La Zeri Foundation ha approvato più di 100 progetti: gli ambiti toccati riguardano ogni settore immaginabile, nessuno escluso, ma particolare attenzione è stata data ai progetti nati e pensati proprio per una facile applicazione nei paesi del Sud del mondo, partendo sempre da ciò che è disponibile localmente e realizzabile con investimenti contenuti.

Un esempio virtuoso

Il villaggio di Las Gaviotas (Colombia) era una zona resa sterile e arida dalle attività intensive dell’uomo. Il caso è emblematico per dimostrare come agricoltura intensiva, deforestazione e abbandono di un territorio possano deteriorare la qualità delle acque, del terreno e delle condizioni climatiche, portando alla quasi totale scomparsa delle precipitazioni. Grazie a un approfondito studio della foresta pluviale locale è stato possibile rigenerare l’intera vegetazione originaria della zona.

Il lento avanzare della foresta ha condotto a uno straordinario mutamento meteorologico e al cambiamento delle condizioni del terreno.

Prima della rinascita della foresta le possibilità d’impiego per gli abitanti nella zona erano nulle, le malattie gastrointestinali erano molto diffuse, mentre era scarso l’accesso all’acqua potabile. Oggi l’acqua abbonda, è potabile e accessibile a tutti gratuitamente e questa nuova abbondanza d’acqua permette di poterla rivendere a Bogotà.

La foresta di 8.000 ettari ha cominciato a fornire una nuova economia: il pino dei Caraibi (specie originaria della zona reintrodotta) produce una resina particolarmente pregiata, che una volta lavorata viene usata localmente e venduta al mercato internazionale.


Mappa interattiva della blue economy, via.

Oltre a questi prodotti, Las Gaviotas partecipa a un programma di chimica arborea che attraverso un moderno impianto di bio-raffineria può produrre diversi prodotti di cosmesi. Inoltre, oggi il villaggio di Las Gaviotas ha raggiunto l’autosufficienza energetica.

Passare dalla scarsità all’abbondanza è possibile: è questo ciò che ci dimostrano più di 200 progetti blu.

Il contributo della Blue economy è concreto e fortemente orientato al cambiamento di cui oggi abbiamo bisogno, ma non si tratta di una lotta tra green e blue economy: entrambe possono collaborare all’applicazione di un modello realmente sostenibile.

Pensare che la crisi economica non abbia a che fare con la crisi ecologica e sociale è un grave errore di valutazione — ancora più grave è pensare che gli impatti di una crisi ecologica saranno limitati rispetto a una crisi finanziaria.

La verità è una e semplice: la natura non ha bisogno dell’uomo, procede per la sua strada verso la sopravvivenza adattandosi ai cambiamenti più drastici. La vita prevarrà sempre, molto probabilmente non come la conosciamo noi oggi. L’uomo omette a se stesso che, senza la natura e senza tutti quei servizi gratuiti che ci rendono gli ecosistemi, le sue possibilità di sopravvivenza si assottigliano.