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CALAIS — Lunedì 24 ottobre, alle 6 del mattino, gli eritrei sono i primi a lasciare spontaneamente la “Giungla,” a piccoli gruppi, trasportando i propri bagagli lungo il viale che conduce al centro di smistamento allestito dalla prefettura. Inizia così il primo giorno di sgombero del campo di migranti di Calais: un piano complesso, annunciato qualche settimana fa dal governo francese, che prevede il trasferimento in pullman di tutti i “residenti” verso i CAO (Centres d’Accueil et d’Orientation, sparsi sul territorio francese, dove verrà offerta accoglienza, assistenza medica e psicologica) e la demolizione delle strutture del campo.

Nessun errore è ammesso, l’esposizione mediatica è altissima — ne va della reputazione, già compromessa, del governo francese. La priorità è umanitaria: offrire una sistemazione dignitosa ai migranti, proteggere i soggetti vulnerabili e i minori non accompagnati, parte dei quali alla fine verrà accolta anche in Regno Unito.

È dunque cambiata la strategia rispetto a marzo, quando gli agenti della CRS, la celere francese, sgomberarono l’area meridionale della giungla, grande il doppio di quella attuale, costringendo migliaia di persone a evacuare con la forza.

Stavolta la polizia rimane ai margini del campo, chiamata a intervenire solo in caso di scontri. Sono circa 3500 agenti in tutto: i compiti sono circondare il perimetro dell’autostrada per evitare assalti ai tir e assistere la protezione civile per regolare il flusso verso il centro di smistamento.

Situato a meno di un chilometro dal campo, tra le ciminiere dei complessi industriali, il centro di smistamento allestito dal Ministero dell’Interno è collocato entro un grande magazzino e gestito dagli operatori della protezione civile. Lì i migranti vengono suddivisi in categorie (maschi adulti soli, famiglie, soggetti vulnerabili e minori non accompagnati) e accompagnati in differenti settori, dove verrà offerta loro la scelta tra due diverse destinazioni alla volta e verrà effettuata una rapida registrazione che nulla ha a che fare con le procedure previste dall’accordo di Dublino, in attesa del trasferimento in pullman. Nella sezione dei minori sono presenti agenti della polizia britannica, per prendere in carico i giovani ammessi all’asilo nel Regno Unito.

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Più tardi, verso le 8, diventa chiaro a tutti i presenti quale sarà il trend della giornata: esodo di massa. La maggior parte dei migranti con cui abbiamo occasione di parlare è contenta di andarsene dal campo, anche se non ha ancora pienamente realizzato che ne sarà del proprio futuro. Tantissimi i sudanesi, la maggior parte dal Darfour, seguiti più tardi da gruppi di ragazzi afghani: si scatena una corsa a chi prende prima il posto, generando a più riprese la calca di fronte ai cancelli del centro di smistamento. Gli unici interventi di ordine pubblico resi necessari dalle circostanze sono delle leggere misure di contenimento, per evitare che le persone in coda rimangano schiacciate. “C’è posto per tutti sui pullman.”

A mezzogiorno, in accordo con le previsioni della prefettura, è portato a termine il trasferimento di oltre 700 persone, un numero che crescerà consistentemente nel corso della giornata: 1700 verso le 8 di sera, circa 2500 a fine giornata.

Nel campo, che ormai assomiglia più a una città fantasma, per chi è rimasto la vita continua a scorrere senza particolari stravolgimenti, se non che molti dei negozi gestiti dai migranti hanno ormai chiuso i battenti. L’atmosfera generale è di rassegnazione. Diversi afghani e pakistani dichiarano di voler raggiungere il Regno Unito a ogni costo, noncuranti del sofisticato sistema di recinzioni e telecamere termiche, voluto e finanziato proprio dai britannici, che ormai rende impossibile varcare la frontiera inglese a Calais.

Nessuna delle persone incontrate rivendica con convinzione l’appartenenza alla giungla, come le autorità temevano e alcuni attivisti speravano. Né si vedono i duecento No Borders che, secondo le voci in circolo da una settimana, si erano dati appuntamento per impedire lo sgombero. Alcuni di loro potrebbero essere presenti nel campo, in attesa della fase finale, quando è possibile che qualcuno si opponga effettivamente allo sgombero. Anche in quel caso, l’uso della coercizione verrà usato solo come estrema ratio, secondo quanto riporta il portavoce del Ministero dell’Interno, non prima di aver impiegato ogni metodo di persuasione da parte della protezione civile e delle associazioni presenti.

A dare il peggio di sé sono invece i giornalisti. In 700 i professionisti accreditati dalla prefettura, con altrettanti microfoni e telecamere in giro per il campo per documentare l’ultimo ciclo di vita della giungla. Gran parte dei media mainstream cerca di mettere in piedi una storia che inaspettatamente non c’è e tenta di rimediare alla banalità del momento con titoli da clickbaiting. C’è chi strappa a un afghano una frase dettata dalla frustrazione per farne una dichiarazione di guerra e dipingere l’imminente “battaglia di Calais” — che non c’è e che probabilmente non avverrà. C’è chi invasivamente riprende le scene di vita quotidiana dei migranti, con tanto di faretto puntato, per accentuare la drammaticità del clima — alla faccia della dignità umana. C’è chi mostra le immagini degli agenti della CRS di fronte a un gruppo di migranti invitati a attendere per terra (una misura per evitare la calca), pur di delegittimare il servizio d’ordine della polizia.

Alle 12 di martedì, 3113 hanno già lasciato Calais, poco meno della metà, stando alle stime che parlano di 7500 migranti in tutto. Questo pomeriggio sono iniziate le prime demolizioni: è stato escluso l’uso di bulldozer, si procederà a mano, tenda per tenda, agendo solo sulle strutture già abbandonate.