Una delle cose che Netflix sa fare molto bene, oltre a risucchiarci in maratone senza via d’uscita, è raccogliere documentari su questioni emergenti e spinose. Il fenomeno diffuso degli abusi sessuali nelle scuole americane viene raccontato in Audrie & Daisy, disponibile sulla piattaforma dal 23 settembre, e in The Hunting Ground, del 2015.

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Audrie & Daisy ripercorre alcuni casi recenti di abusi sessuali nei licei americani, concentrandosi sulle vicende di Audrie Pott e Daisy Coleman. I registi Bonni Cohen e Jon Shenk esaminano il ruolo dei social media e il fenomeno del cyberbullismo, i suoi effetti devastanti sulle ragazze che subiscono violenze e sulle loro famiglie. Dallo sfondo emergono un sistema legale inadeguato e le dinamiche di piccole comunità che screditano le vittime e proteggono gli aggressori, rifiutando di credere che fatti simili possano accadere nel loro orticello.

Kirby Dick, due volte nominato agli Oscar, dirige invece The Hunting Ground, inchiesta sul problema degli abusi sessuali nei campus. Il documentario espone la cattiva gestione dei casi di violenza da parte delle istituzioni universitarie attraverso le testimonianze dirette delle sopravvissute, come Annie Clark e Andrea Pino, che portano il problema alla luce denunciando la loro università al Dipartimento dell’Istruzione per violazione del Titolo IX, legge contro la discriminazione sessuale nell’educazione. La colonna sonora include anche una canzone di Lady Gaga, Til It Happens to You, premiata agli Emmy Awards del 2016.

I dati della più grande organizzazione americana contro la violenza sessuale – RAINN – mostrano che la maggior parte delle vittime negli Stati Uniti rientra nella fascia d’età tra i 12 e i 34 anni e che l’11,2% degli studenti universitari subisce uno stupro o un abuso. Secondo una recente ricerca del Washington Post, una donna su cinque riferisce di aver subito un abuso sessuale durante il college.

Nonostante i numeri già colpiscano, bisogna tener presente che molte violenze non vengono riportate. Le istituzioni universitarie sfruttano anche il fenomeno del victim-blaming per minimizzare i crimini e scoraggiare le denunce. L’obiettivo è quello di proteggere l’immagine del college, destinatario di fondi federali e donazioni; ne deriva in realtà un nuovo trauma per i sopravvissuti che non riescono ad ottenere nè giustizia nè il distacco necessario per il superamento dello shock.
In molti casi i responsabili non vengono neanche allontanati dal campus, permettendo ad alcuni degli aggressori di ripetere il crimine. I dati del rapporto tra numero di denunce e numero di espulsioni mostrati nel documentario The Hunting Ground sono ridicoli, così come alcune delle sanzioni imposte: da sospensioni di un giorno a temi da scrivere sull’accaduto. La James Madison University nel 2013 ha addirittura deciso di espellere tre studenti, colpevoli di violenze e molestie sessuali, dopo la laurea.

Il problema non è certo una novità (il primo studio nazionale risale al 1987), ma sembra che ultimamente l’opinione pubblica sia un po’ più sensibile, dopo le campagne di informazione e l’ondata di indagini federali che ha colpito anche le più prestigiose università.

Brock Turner, ex nuotatore e studente di Stanford, è uscito per buona condotta lo scorso 2 settembre dopo aver scontato solo tre dei sei mesi a cui era stato condannato per stupro. Lo sdegno suscitato dal caso però ha portato il Governatore della California Jerry Brown a firmare il 30 settembre un disegno di legge che irrigidisce la pena per il reato di violenza sessuale perpetrato nei confronti di una persona priva di sensi.