All’inizio di quest’estate, la famiglia Escobar, nella persona di Roberto De Jesus Escobar Gaviria, fratello del più famoso narcotrafficante di tutti i tempi, si accorge di avere per le mani una piccola miniera d’oro: la proprietà intellettuale dell’identità del defunto Pablo Escobar.

Per prima cosa manda una lettera in California alla sede di Neflix a Los Gatos, la compagnia che ha prodotto la serie Narcos uscita il 28 agosto di un anno fa. La lettera riporta timbro e firma ufficiale della Escobar Inc., società fondata da Roberto insieme ai due soci in affari Olof Gustafsson e Daniel Reitberg.

 

I toni sono tutt’altro che rilassati: inizialmente si tratta solo di una formale e amichevole richiesta di visionare la seconda stagione prima dell’uscita, visto che “nella prima stagione c’erano errori, bugie e discrepanze rispetto alla storia vera,” una storia di cui Roberto, unico sopravvissuto del cartello di Medellin e quindi unico testimone degli episodi narrati, è stato protagonista, come contabile del fratello.  

Poi si passa alle questioni legali. Oltre alla richiesta di supervisionare il programma televisivo, Roberto aggiunge l’invito a non rilasciare alcun tipo di merce, visto che la Escobar Inc. possiede tutti i diritti di mercato, secondo il codice civile della California 3344.1.

E, infine, arriva la richiesta di rimborso “Mi auguro che non stiate guadagnando con la mia storia (“mia” si può solo riferire al fatto che è lui il detentore dei diritti, e a nient’altro, dato che nella serie tv lui non compare) altrimenti dovremmo dividere i profitti.” La conclusione è una minaccia poco velata: “A mio fratello non sarebbe piaciuta la prima stagione, ma potrebbe apprezzare la seconda, se risolviamo la questione.”

La lettera, costellata di rossi timbri della Escobar Inc, è datata 1 luglio 2016 e viene pubblicata pochi giorni dopo dalla rivista TMZ. Allora i diritti sulla proprietà intellettuale non erano ancora stati registrati: il 12 luglio 2016 la Escobar Inc. Corporation, con sede legale a Puerto Rico, registra il franchise “Pablo Escobar™.”

Il narcotrafficante più sanguinario e potente mai esistito è a tutti gli effetti un marchio. Nella registrazione ufficiale presso lo United States Patent and Trademark Office (USPTO) si legge che la società di Roberto Escobar ha pieni diritti sul marchio di cui vengono elencati i beni e i servizi, trasversali a qualunque settore di mercato — e a qualunque criterio logico.

Nessuno può utilizzare il marchio Escobar per i seguenti trademark:

  • tabacchi, accendini
  • palloncini, giocattoli
  • spille, bottoni, parrucche, e decorazioni
  • vestiti
  • coperte, asciugamani, tovaglie
  • prodotti in pelle
  • stoviglie e bicchieri da shots
  • quaderni, diari e cartoline di auguri
  • compact disk, prodotti audio e video, serie tv, applicazioni e altri materiali digitali
  • profumi, saponette, e olii essenziali
  • programmi TV, fumetti, graphic novels, musical e spettacoli teatrali
  • adesivi, tatuaggi e tatuaggi temporanei.

In un comunicato stampa della Escobar Inc. il CEO Olof Gustafsson afferma “Penso che sia importante che Netflix riconosca i desideri di Roberto Escobar per controllare la serie in uscita, garantendo alla famiglia e agli spettatori un ritratto preciso di Pablo e Roberto.”

Roberto Escobar, ex campione di ciclismo negli anni Sessanta è stato il commercialista di Pablo e del cartello di Medellin. Dopo la morte del fratello nel 1993, è stato arrestato con l’accusa di possesso illegale di armi, arricchimento illecito, traffico di droga, omicidio e sequestro ai fini di estorsione.

Nel 2009 ha scritto un libro sull’impero della droga di Pablo, The Accountant’s Story: Inside the Violent World of the Medellín Cartel.

In una mail mandata nel mese di luglio alla redazione di Newsweek il socio di Escobar Gustafsson ha detto che nella serie Narcos il suo socio in affari viene dipinto come “un contabile che viene licenziato e diventa un informatore sotto copertura della CIA, ma Roberto Escobar non è mai stato licenziato, e anzi è stato il capo dei sicari e contabile piombo del cartello e ha gestito tutti gli affari di Pablo,” ha ribadito Gustafsson.

Ed ecco che la questione vera e propria viene a galla da una dichiarazione di Roberto Escobar: “L’unico modo per migliorare la situazione è che Netflix si dia una regolata—riconoscermi come leader del cartello di Medellín come sono effettivamente stato. Una volta che mi riconosceranno, potrò offrire la mia consulenza per l’intera seconda stagione.” 

Roberto si è offeso perché Narcos non rende giustizia al suo operato per il cartello di Medellin: lui è stato un importante bandito, non un sicario qualunque vissuto nell’ombra del fratello.

Con Netflix ne è venuta fuori una guerra da 1 miliardo di dollari.
“Se non verrà ascoltata la mia offerta, abbiamo avvocati pronti a procedere con le azioni necessarie.”

Ma non si è fermato qui: ha anche avuto da ridire sul cast della serie tv, e in particolare sull’attore Wagner Moura che interpreta suo fratello Pablo.

“Prima di tutto, l’attore è brasiliano, e non colombiano. E chi sarebbe poi questo qui, cos’ha fatto? Ha esperienza di recitazione di qualsiasi tipo? Ha mai provato a condurre transazioni di coca? Ha riciclato miliardi di dollari? O sta ancora succhiandosi il pollice? Beve ancora il latte di sua madre? Secondo me sì: chiedeteglielo da parte mia quando lo vedete, chiedetegli se gli piace il latte. Io non bevo latte.”

In tutto ciò, Netflix non ha mai lasciato dichiarazioni a riguardo, né ha interrotto la produzione della serie: la seconda stagione è uscita a settembre come da programma e ha successivamente confermato l’uscita di una terza e quarta stagione.

È poco chiaro se le intenzioni di Roberto Escobar siano difendere il ricordo del fratello, la sua reputazione, oppure stia semplicemente cercando di monetizzare la storia di suo fratello.

Ma cosa rappresentano e quanto valgono commercialmente i marchi registrati di personaggi storici e icone?

In teoria l’obiettivo principale della creazione di un marchio registrato è quella di impedirne la contraffazione, così da garantire sia la fiducia dei consumatori, sia la sua funzione commerciale. 

Un marchio più aumenta la sua diffusione e più aumenterà il suo valore con il passare del tempo. Inoltre il marchio ha una durata illimitata da rinnovare ogni 10 anni, diversamente dai brevetti.

Forse neanche Mickey Mouse è conosciuto nel mondo quanto la famosa foto di Che Guevara scattata dal fotografo Alberto Korda nel 1959. Quella foto è rimasta di dominio pubblico per decenni. Ne sono state fatte infinite versioni diverse e chiunque poteva farne di nuove. Molto probabilmente questo faceva parte di una astuta campagna propagandistica di Castro per sparpagliare nel mondo l’immagine di Cuba. Così quella foto è stata di fatto utilizzata come un marchio, con gli stessi scopi “pubblicitari,” ma senza essere registrata come tale o come copyright — uno strumento capitalistico a cui Cuba non si è voluta piegare.

Ma finita la Guerra Fredda, Korda ha colto l’occasione per citare in giudizio aziende per impieghi non autorizzati della sua foto del Che. Dopo la morte di Korda nella primavera del 2001, la figlia Diana Diaz è diventata proprietaria dei diritti della famosa foto e ha deciso di dedicare la sua vita a farne rispettare il diritto d’autore.

Nelle manifestazioni in tutto il mondo non si potrebbe quindi utilizzare la più famosa immagine del Che, ora icona monetizzata e privatizzata.

Un’altra miniera d’oro è stata sfruttata nel 1972 da Frenchman Franklin Loufrani, il primo ad aver legalmente registrato il trademark della smiley face. Il figlio Nicolas ha creato nel 1996 una enorme multinazionale, la Smiley Company, che detiene i diritti sullo “Smiley.” Attualmente The Smiley Company è una delle 100 più grandi compagnie di franchise al mondo e nel 2012 ha fatturato 167 milioni di dollari.