Anche questa settimana l’Unione Europea sta cercando di uccidere internet

La tassa sui link rischia di distruggere le fondamenta su cui si basa internet, danneggiando gravemente anche l’industria dell’informazione online, l’accademia e la storiografia, in nome di misure completamente inefficaci.

In una strana atmosfera di inaspettato tripudio, lo scorso 30 agosto la comunità digitale internazionale ha festeggiato una tiepida vittoria: sono stati fatti enormi passi avanti nel mese di silenzio radio per la stesura delle norme definitive per la neutralità della rete — e con l’eccezione del comunque pericolosissimo Zero Rating, la pratica che permetterà alle multinazionali di “regalare” il traffico verso i loro servizi, si tratta di una vittoria degli attivisti che hanno in tutti i modi cercato di contrastare il piano malefico del Commissario Digitale Oettinger. The Submarine vi aveva raccontato della lotta per la Net Neutrality lo scorso luglio.

Julia Reda, europarlamentare tedesca eletta con il Partito pirata, concludeva il suo commento alla vittoria del 30 agosto con sobrietà sibillina: “Oggi è un giorno di celebrazione, un giorno per ringraziare i tanti volontari che ci hanno aiutato a raggiungere questa vittoria. Tuttavia, temo questa non sarà l’ultima volta in cui dovremo mobilitarci per ‘salvare internet’ da interessi senza scrupoli di aziende e politici che non comprendono a pieno le conseguenze delle loro proposte di regolamentare internet.”

New leak confirms the worst news: the #linktax still lives. Stand up for your right to link! https://t.co/SXqe63w0VB pic.twitter.com/bIY2CjvAn3

— OpenMedia (@OpenMediaOrg) 2 settembre 2016

Si riferiva alla riforma del diritto d’autore che Oettinger sta tramando da tempo. Il giorno successivo, mercoledì 31 Agosto, sul blog The IPKat è stato pubblicato un leak della bozza che verrà presentata il prossimo 21 settembre, e le sue implicazioni lo rendono potenzialmente ancora più pericoloso della legge sulla neutralità della rete.

È sconvolgente come la Commissione stia procedendo con la riforma, malgrado qualunque corpo contattato a riguardo abbia fortemente sconsigliato di procedere lungo questo percorso.

Allo stato attuale, sono contrari alle misure proposte nella riforma il Parlamento Europeo, l’alleanza delle start-up europee, l’associazione per i diritti digitali EEF, e perfino le associazioni della stampa online spagnole, tedesche, italiane.

Per chi è quindi questa misura? Se sono contrari sia organi politici, produttori di contenuti e anche chi li distribuisce online? Osservando le limitazioni proposte, è estremamente chiaro.

Link tax

La riforma prevede di estendere il diritto d’autore ai link, rendendo sostanzialmente illegale linkare a qualsiasi contenuto — anche contenuti legali, hostati liberamente accessibili sui server dell’avente diritto — senza previo accordo commerciale con l’autore. La proposta mina la premessa stessa del link, uno dei mattoni fondamentali per il funzionamento di internet.

Ad esempio: nel contesto di questa riforma, la nostra colonna quotidiana Hello, World! sarebbe illegale, o per noi economicamente insostenibile.

A rischio anche servizi ormai considerati fondamentali sia da utenti che da editori, come Google News, Flipboard e Apple News. Non solo la legge imporrebbe un carico burocratico enorme su queste aziende, ma renderebbe a tutti gli effetti impossibile per nuove realtà e start–up di creare prodotti alternativi e concorrenti.

L’effetto a livello d’industria sarebbe un livellamento istantaneo attorno ai grandi editori: le ultime speranze per una stampa diversificata, che abbia spazio per analisi e opinioni di nicchia, o semplicemente meno conosciute, verrebbe spazzata via in un sol colpo.

Okay #linktax, it’s myth-busting time! Speak up against this terrible idea at: https://t.co/SXqe63NCkb. Myth #1: pic.twitter.com/iM1VvQwagO

— OpenMedia (@OpenMediaOrg) 20 agosto 2016

Le associazioni della stampa online sono unanimi nel considerare che qualsiasi guadagno proveniente dal pagamento dei link non potrebbe in nessun modo sostenere l’impatto in perdita di diffusione.

Il diritto d’autore per i link — che in ambito dell’informazione hanno un valore di pochi giorni, spesso poche ore — sarebbe previsto valido per 10 anni, e Oettinger stesso ventila la possibilità di estenderlo a 50 nella bozza definitiva.

Questa assurdità rivela la link tax come un pezzo fondamentale per le altre limitazioni imposte dalla riforma.

Nel contesto della proposta del Commissario, infatti, non esistono esenzioni per fair use e remix, non esistono eccezioni per uso accademico, didattico, storico — nemmeno per i documenti già entrati nel dominio pubblico.

Così mentre negli Stati Uniti New York si prepara a reinventare il proprio sistema bibliotecario per la diffusione digitale dei contenuti, l’Europa si prepara a firmare la condanna a morte per le biblioteche.

Ma, come l’informazione, anche le biblioteche sarebbero vittime secondarie del progetto di Oettinger, una conseguenza indesiderata che si preferisce ignorare.

I mandanti della riforma sono le grandi case di produzione, audio e video. Il vero obiettivo: costringere tutti i servizi che permettono di caricare contenuti generati da utenti a verificare in prima persona — attraverso algoritmi — se vengono caricati materiali protetti da copyright, bloccare ogni rip e copia non autorizzata, e firmare contratti di diffusione con tutte le major musicali e cinematografiche, per poter diffondere il contenuto che loro stesse caricherebbero sui loro portali.

YouTube segue questi dettami da anni, da prima del lancio statunitense di YouTube Music e Red, e il risultato è stato nullo: l’industria musicale continua a non guadagnare praticamente niente dal servizio di Google.

Le misure costringerebbero tutti i competitor di YouTube a creare infrastrutture simili, un costo per la maggior parte esorbitante, quando abbiamo prova effettiva che la misura non cambierebbe in nessun modo le sorti delle industrie musicali e cinematografiche.

Così Oettinger propone di distruggere le fondamenta su cui si basa internet, danneggiando gravemente anche l’industria dell’informazione online, l’accademia e la storiografia, in nome di misure che, anche a condividerne i folli presupposti, sappiamo siano completamente inefficaci.