Vienna, 1876. Sigmund Freud è un giovane studente di medicina, e ha una missione: scoprire il sesso delle anguille, che è ancora un mistero. All’epoca nessuno ha idea non solo di come e dove le anguille si riproducano, ma nemmeno di come sia fatto un cucciolo di anguilla o di come distinguere gli esemplari maschio da quelli femmina. Freud viene inviato a Trieste dal prof. Claus, suo maestro, per risolvere l’arcano. Seziona decine e decine di anguille sperando di individuarne gli organi genitali.

Il padre ella psicanalisi conclude che le gonadi siano le due sottili strisce di tessuto presenti sull’addome dei pesci, che potrebbero diventare sia testicoli che ovaie, a seconda dell’individuo. Ma non è soddisfatto dei risultati. Nel suo primo lavoro accademico ammette il fallimento e – frustrato – si dedica a faccende meno cariche di enigmi, come la psiche umana.

Non è molto noto, ma oggi le anguille sono ad altissimo rischio di estinzione. Negli ultimi trent’anni, l’arrivo di nuovi esemplari è calato del 90% e nessuno ha ancora capito bene perché. Il declino della specie è iniziato all’improvviso a metà degli anni ‘80, quando hanno raggiunto le coste europee solo il 10% delle anguille di vetro rispetto agli anni precedenti. La tendenza è continuata e sono state fornite diverse spiegazioni – nessuna delle quali soddisfacente. Molte tappe del loro complesso ciclo vitale non sono noti persino ai giorni nostri.

Tutte le anguille dei fiumi d’Europa nascono nel Mar dei Sargassi, che non è un’invenzione di Salgari ma esiste davvero, nel bel mezzo dell’Oceano Atlantico. Vengono alla luce come dei minuscoli pesciolini trasparenti, detti Leptocefali.

Questi esserini erano già noti al mondo scientifico ma a nessuno era mai venuto in mente potessero essere delle piccole anguille. In questa forma, cominciano a nuotare dal Mar dei Sargassi seguendo la Corrente del Golfo e piano piano – possono metterci fino a tre anni, pare –arrivano sulle coste europee. A questo punto sono già cresciute fino a dieci centimetri di lunghezza e vengono chiamate anguille di vetro; poi cominciano a risalire i fiumi e diventano i pesci che tutti abbiamo conosciuto e mangiato almeno una volta nella vita – soprattutto se siamo giapponesi o napoletani, dove rappresenta il piatto natalizio per eccellenza partenopeo con il nome di capitone.

Sono pesci incredibilmente longevi: in genere vivono fino ad ottant’anni – anche se un esemplare sul fondo di un pozzo svedese, secondo i proprietari, avrebbe raggiunto i 150 anni.

Dopo aver speso la maggior parte della loro esistenza nei fiumi nostrani sentono il richiamo dell’amore e intraprendono a ritroso il lungo viaggio fino al Mar dei Sargassi per andare a riprodursi. Si trasformano ancora e diventano anguille d’argento: cambiano colore, i loro occhi si ingrossano per adattarsi alla poca luce delle profondità oceaniche e perdono la mascella, non mangiando più fino alla morte. Morte che avviene dopo l’accoppiamento e la deposizione delle uova.

La prima persona a pedinare un’anguilla dalla foce di un fiume europeo fino al Mar dei Sargassi è stato Johannes Schmidt, un professore danese. Nel 1904 ricevette l’incarico dalla fondazione Carlsberg – sì, quella della birra di seguire le anguille, insieme a qualche soldo e, supponiamo, una barca. Portò a termine la sua missione solo nel 1922, catturando il più piccolo leptocefalo mai visto.

Da allora si sono susseguiti vari studi, nessuno dei quali completo. Uno dei massimi esperti mondiali di anguille, il professor Friedrich Tesch, ha cercato moltissimi sponsor per un programma scientifico che seguisse una volta per tutte ogni fase della vita delle anguille, soprattutto quelle finali – per molti versi ancora oscure. Ma è stato meno fortunato del professor Schmidt, e nessuno lo ha finanziato, nemmeno la Carlsberg.

Oggi capire bene come funzionano le anguille potrebbe essere fondamentale per salvarle dall’estinzione.

È stato suggerito che l’inquinamento da policlorobifenili (PCB) sia tra i principali responsabili del declino della specie, insieme al cambiamento climatico e alla costruzione di dighe su molti fiumi europei – per aiutare le anguille a risalirli, infatti, sono stati costruiti in alcuni casi addirittura degli appositi scivoli. Pare certo, invece, che quasi tutte le anguille europee siano infestate da un parassita nematode che causa lo sgonfiamento della vescica natatoria, facendole affondare nell’oceano durante il loro viaggio dell’amore, e che le anguille vengono pescate in quantità eccessiva rispetto al loro complesso percorso di accoppiamento.

La carne d’anguilla ha avuto infatti un vero e proprio boom in Giappone, in cui ogni anno vengono consumate 100 milioni di chili rispetto ai 25 milioni dell’intera Europa. La scoperta delle prelibate anguille europee da parte dei palati asiatici, con il conseguente aumento della caccia e soprattutto dell’allevamento, ha contribuito ulteriormente al declino della specie.

Le anguille, infatti, non si riproducono in cattività, visto che maturano a livello sessuale solo una volta che raggiungono il mare e cominciano a viaggiare.

Invece vengono catturate ancora giovani e poi allevate fino alla tavola. In Italia, il principale luogo di allevamento sono le Valli di Comacchio, vicino al Delta del Po, in cui ogni anno si svolge una celebre sagra, che sta avendo luogo in questi giorni.