Esisteva, nel cuore dell’isola d’Elba, un piccolo borgo di minatori, Rio nell’Elba. Appena svegli mangiavano del pane tostato con baccalà bollito e pomodori e si avviavano verso le rocce di diaspro per l’estrazione del ferro. Qualche nave, poi, lo sarebbe venuto a prendere alla raffineria sulla costa Sud dell’isola.

Oggi a Rio nell’Elba non ci sono più i minatori. Il pane tostato con baccalà, detto sburrita, figura tra gli antipasti nel menù del ristorante della piazza. Tra le montagne di diaspro e la macchia mediterranea corre una provinciale. La stazione di raffineria è diventata un deposito arrugginito per qualche barca. Poco distante è stato costruito un porto con tanto di monumento a un eroe risorgimentale e un sacco di negozi espongono cartoline e cappellini dell’isola. Negli anni Settanta l’amministrazione iniziò a privilegiare appunto la costa di Rio, concentrandovi i servizi e abbandonando l’interno del paese sempre più a sé stesso. Ed ecco spaccarsi il piccolo borgo di minatori in due posti ben differenti, Rio Marina e Rio nell’Elba.

Mentre il primo è una località di mare come possono essercene tante in Italia, il secondo è un paese tra le montagne che conta poche anime, una piazza con una farmacia, una boutique e diversi bar ristoranti, un museo archeologico, un campo da calcio e una biblioteca. Quest’ultima, che rischia di chiudere per i pochi fondi a disposizione, resta aperta grazie alla disponibilità di alcuni volontari, ragazzi che adorano i thriller, guadagnano qualcosa lavorando come camerieri e alla domanda “qual è l’ultimo libro che hai letto” ti rispondono che non se lo ricordano.

Qui è stata organizzata la seconda edizione di Elba Book, festival dell’editoria indipendente, iniziativa lodata e recensita da numerose testate nazionali e locali. Le premesse, del resto, erano notevoli, sia per l’aspetto intellettuale che per quello sociale. Il lancio, in collaborazione con l’Università per stranieri di Siena, del premio Appiani per la traduzione dall’arabo (dedicato a Lorenzo Claris Appiani, il giovane avvocato che perse la vita l’aprile scorso al Palazzo di Giustizia di Milano), le letture pubbliche dei detenuti del carcere di Porto Azzurro, laboratori, colazioni e aperitivi con gli editori, dibattiti, spettacoli teatrali. Insomma far risorgere ‒ attraverso la cultura, l’integrazione e la “bibliodiversità”‒ un bellissimo posto che non può contare sulle entrate del turismo né sulle sovvenzioni statali.

Elbabook

I 24 editori presenti sulla piccola piazza del popolo vengono da tutta Italia, gran parte dall’Elba stessa, ma non tutti sono particolarmente noti o meritevoli. A dirla tutta, sotto il profilo editoriale se ne salvano pochi. EDT, eccellenza nel settore viaggi (le guide Lonely Planet per intenderci), le edizioni NN nate in una casa di ringhiera vicino porta romana, le raffinate edizioni Henry Beyle e l’italo cilena Edicola Ediciones. Il clima all’apertura, alle ore 18, è rilassato. Tra i banchetti, dietro i libri, brillano birre medie e spritz. Quando qualcuno si avvicina, i più vivaci si informano sui gusti del cliente e pescano un titolo ad hoc fuori dal catalogo, i più discreti si alzano dalle sedie, e aspettano di rendersi utili.

cover_9788866326830_1443_600Intanto sulla terrazza detta del Barcocaio, che dà sulla vallata riese e sull’azzurro mare, vince il premio alla miglior traduzione dall’arabo Barbara Teresi con Frankenstein a Baghdad di Ahmed Saadawi, Edizioni e/o. Qualche spettatore, incuriosito dalla premiazione, corre a prenderlo allo stand della Libreria Stregata di Portoferraio.

Dopo il primo giorno l’unico altro compratore sarà un addetto dell’organizzazione, a poche ore dalla chiusura del festival.

Il dibattito sulle biblioteche dal poco felice titolo “Biblioteche: granai contro l’inverno dello spirito,” aperta citazione di Marguerite Yourcenar (Memorie di Adriano, Einaudi, 1988), vede Matteo Codignola, traduttore e scrittore Adelphi, confrontarsi con lo scrittore e bibliofilo Giuseppe Marcenaro. Dopo un primo momento di sponsor di Acqua dell’Elba, una sorta di deodorante chimico per ambienti, presentato come se fosse l’evento centrale della serata, la piazza si è svuotata. Per fortuna qualcuno è ritornato poco dopo, ma non sono tanto sicuro che fosse degli stessi dell’attimo precedente.

Moderata da Gloria Peria, responsabile degli archivi storici comunali dell’Isola d’Elba, la tavola rotonda prende la via dei massimi sistemi approdando alla conclusione apocalittica dell’estinzione di tutte le biblioteche. Un crocchio di signore contrarie alla chiusura della biblioteca di Rio, un po’ più di un’ipotesi, un po’ meno di una probabilità, riporta il discorso al contingente facendo notare come non se ne sia praticamente ancora parlato. Segue un breve scambio di battute tra palco e pubblico che riaccende il fuoco della discussione.

Il giorno dopo, tra le chiacchiere da bar, la piccola conferenza era sulla bocca di qualche avventore.
“Quindi ha detto che chiuderanno tutte le biblioteche?”
“Ma no, solo quelle pubbliche. Lui del resto diceva di averne una.”

Passeggiando per il paese si possono incontrare, seduti al bar, alcuni editori che si esibiscono nella parabola dell’intellettuale impegnato davanti a un manipolo di mai più di cinque persone (due sono dell’organizzazione, uno fa foto e gli altri due ci sono capitati probabilmente per caso, nell’attesa di un appuntamento). Non bisogna essere dotati di chissà quale intuito per indovinare che sono le già citate “colazioni con l’editore.”

Nelle due serate successive gli unici a girare tra gli stand sono i bambini che giocano ad acchiapparella e qualche famigliola del paese. Verso le otto un camioncino porta uno chef emiliano a cucinare in un pentolone da caserma dei risotti, ogni volta diversi, e davanti a lui si vede formarsi una coda disordinata composta per lo più dagli editori. Accanto, una coda più esigua aspetta che un sommelier stappi e versi i vini del luogo. I più viveur invece si fanno portare dal ristorante vicino un piatto di spaghetti alle vongole e un calice di vino bianco. Fino alla mezzanotte i più bevono chiare medie e fanno comunella, senza preoccuparsi di lasciare il banchetto scoperto.

Nella piazza dei dibattiti, separata da sei metri di pendenza da quella in cui sono allestiti gli stand, trova ampio spazio la cultura. Il mercoledì i carcerati di Porto Azzurro leggono opere in lingua originale. C’è un albanese che legge in russo, un sudamericano che legge in spagnolo, un cinese che legge in cinese e un italiano che legge, chiaramente, in italiano. Il giovedì è il teatro concettuale della compagnia The ravashing ballad a tenere impegnate le menti con una rivisitazione della Ballata del vecchio marinaio di Coleridge.

Il venerdì, ultima serata della manifestazione, il festival diventa qualcosa di molto simile a una fiera di paese. Il concerto della filarmonica Pietri diretto dal maestro Bacigalupi inizia con una fiacca esecuzione de La vita è bella di Nicola Piovani per proseguire con brani più popolari. La piazza si ripopola senza diventare una trappola claustrofobica. Il giorno dopo, figureranno su Elba News i nomi degli ospiti eccezionali: Biagio Antonacci, Alberto Fortis, Roberta Bellesini (unica ad essersi vista agli stand). Il premio del pubblico al miglior editore, votato attraverso un foglietto distribuito dagli editori e che bisognava consegnare all’organizzazione, va a EDT, che per l’occasione esponeva quasi esclusivamente guide per l’Elba.

Per quanto il posto sia affascinante sembra poco adatto a un festival, quasi per nulla raggiungibile con comodità e quindi privo di possibilità di contatti. Innegabile l’amabilità dei cittadini, gli incantevoli silenzi di alcuni vicoli, la bellezza del paesaggio. Ma è una prigione dorata per l’editoria, un esilio forzato.

Eppure gli editori sono tutti rilassati, nessuno di loro si preoccupa dell’incasso o dello scarso afflusso di persone. Capisco che è stata più una vacanza che una fiera. Me lo dice il fatto di averli visti qualche giorno prima sul traghetto con famiglia al seguito, di averli incontrati poi sulle spiagge elbane, di non averci mai parlato senza una birra di mezzo. L’unico commento possibile è quello di un libraio editore alla domanda riguardo l’andamento del festival: “l’Elba è una bella isola.”