Il 25 luglio l’azienda di telecomunicazioni statunitense Verizon ha annunciato il piano di acquisizione, per il valore di 4,8 miliardi di dollari, del colosso informatico Yahoo. L’accorpamento della compagnia è la battuta di arresto di un lungo periodo di declino culminato a febbraio con l’annuncio – da parte della amministratrice delegata Marissa Mayer – della riduzione del 15% dei dipendenti e una perdita di 4 miliardi e mezzo nell’ultimo trimestre del 2015. A seguito dei risultati ottenuti la decisione non ha sorpreso gli analisti che già a inizio Giugno segnalavano Verizon come possibile compratore.

I problemi di Yahoo!

Fondato nel 1995, Yahoo fu una delle prime tech company a nascere nella Silicon Valley e sopratutto a stabilire un sistema di business che già dopo il primo anno permetteva di ottenere ricavi e rimanere in attivo.

Oltre a un innovativo sistema di vendita degli spazi pubblicitari (basata più sui click effettivi, che sulla sola apparizione delle inserzioni) la società fondata da David Filo e Jerry Yang, due studenti di Stanford, spinse i suoi sforzi verso lo sviluppo di software per l’elaborazione di big data, allineandosi così al pari di realtà come Google.

Costruita una fortuna finanziaria su pubblicità e software, Yahoo decide di intraprendere una campagna acquisti al cui termine diventa proprietario del blog fotografico Flickr e di una consistente fetta azionaria del sito e-commerce cinese Alibaba (ma la lista potrebbe continuare).

Ma è a questo punto che appaiono in maniera più evidente i sintomi che avevano accompagnato la società fin dalla sua fondazione.

Come scrive Paul Graham – la cui azienda fu incorporata da Yahoo nel 1998 – i problemi “erano l’accesso facile ai soldi e una continua ambivalenza nell’essere una tech company”.

L’elevata disponibilità economica, e la sicurezza che ne conseguiva, impedì a Yahoo di sfruttare (o semplicemente testare) sistemi per migliorare il loro sistema di inserzioni pubblicitarie. “Jerry (Yang) non sembrava interessato. Ero confuso. Gli stavo proponendo una tecnologia che estraeva il massimo valore dal traffico di ricerca e a lui non importava? Non riuscivo a capire se mi fossi spiegato male o se semplicemente la sua era un’ottima poker face.” continua Graham, riferendosi a una proposta di upgrade del sistema offerta al fondatore della società.

Il secondo elemento che ha contribuito alla caduta del valore di Yahoo è, come sottolineava Graham, l’ambivalenza – o meglio l’ambiguità – con cui l’azienda si presentava. Negli anni Novanta per vendere spazi pubblicitari era necessario essere una media company più che una software company, per questo motivo Yahoo adottò la prima definizione pur rientrando a pieno titolo nella seconda categoria; questo creò una confusione nell’identità dell’azienda. Le conseguenze erano prevedibili: scarsa qualità nella produzione informatica causata da una ancor più confusa selezione nelle assunzioni degli impiegati, che nel lungo periodo portò all’invecchiamento del pensiero alla base della compagnia. “Ciò di cui Yahoo aveva veramente bisogno era quello di essere una tech company, e cercando di essere qualcos’altro, finirono per essere qualcosa che non era né uno né l’altro. Ecco perché Yahoo come compagnia non ha mai avuto un’identità chiara e definita” conclude Paul Graham.

Il grido di aiuto finale fu l’assunzione nel ruolo di CEO di Marissa Mayer – ex dipendente di Google – con la speranza che potesse risanare il vuoto morale, più che economico, dell’azienda.

Chi è Marissa Mayer?

Nel 2000 Yahoo aveva un valore di più di 100 miliardi di dollari, dopo sedici anni viene venduto per poco meno di cinque; dal 2012 l’azienda è gestita da Marissa Mayer, il cui arrivo fu salutato come un segno di speranza e di cambio di direzione verso lidi migliori. Inutile dirlo, non fu così.

Un anno dopo il suo insediamento la Mayer decide di assumere la anchorwoman Katie Couric per la gestione di Yahoo News, con l’obbiettivo di trasformare l’azienda in una potenza mediatica; non facendo altro che rinforzare la già citata ambivalenza tra le “due anime” di Yahoo. Contemporaneamente decise di portare avanti l’acquisizione di decine di startups (tra cui Tumblr per 1 miliardo di dollari) per migliorare le prestazioni del settore mobile. Se da una parte il mobile team di Yahoo incrementò le sue prestazioni, dall’altra l’accorpamento di blog e nuove piattaforme destabilizzò il lavoro interno dei programmatori.

Ecco che fine hanno fatto la maggior parte delle startup acquistate da Yahoo.

Ma il fallimento della strategia dell’“acquisto, acquisto, acquisto” ha alla base una mancanza di scientificità, come spiega in un articolo Cale Weissman “Yahoo non possiede un sistema di analisi per le compagnie prima di una fusione, cioè non ha la capacità di valutare se un’azienda sarà effettivamente efficace e se si otterrà un reale ritorno di investimenti sulla sua acquisizione”.

Ma per assurdo che possa sembrare, il tocco finale alla compagnia è arrivato non da una serie di acquisizioni sbagliate, bensì da una fin troppo azzeccata.

Nel 2005, Yahoo investì un miliardo di dollari nel sito di e-commerce cinese Alibaba, scommettendo sulla creazione di Jack Ma. L’investimento si rivelò talmente proficuo che alla fine del 2015 le azioni di Yahoo nel portale cinese rappresentavano il maggior valore della società della Silicon Valley.

La prima preoccupazione degli azionisti di Yahoo era che i manager dell’azienda avrebbero sperperato i guadagni derivati dall’investimento per alimentare la campagna acquisti della Mayer. Per il sistema fiscale americano, nel caso in cui Yahoo avesse venduto le azioni di Alibaba e dato i soldi ai propri azionisti, tale vendita avrebbe dovuto figurare nelle fatture fiscali dell’azienda, con conseguente tassazione. In alternativa, per evitare la vendita delle azioni Alibaba, la Mayer è stata costretta dai soci a vendere il resto della compagnia.

Molti scommettono che il suo futuro non sarà più tra le mura della società, in ogni caso il suo buono uscita sarà superiore ai 50 milioni di dollari.

Il futuro della compagnia

Dunque l’acquisto di Verizon non comprende le quote azionare di Yahoo in Alibaba e Yahoo Japan. Le due realtà saranno alla base della fondazione del “nuovo” Yahoo, che rinascerà come holding company e smetterà di esistere come società operativa. Escluse le due costole, il colosso della telefonia acquista – come già aveva fatto con AOL – tutte le realtà dipendenti dall’azienda della Mayer.

La speranza, forse un po’ ingenua, di Verizon è quella di entrare nel campo delle tech company al pari di Facebook e Google, per farlo si è assicurato la proprietà di due società già sviluppate, in grado di fornirgli le risorse umane e le strutture necessarie per competere con le big della Silicon Valley.

Come spiega Vox, “negli ultimi anni, la grandezza degli investimenti è diventato una caratteristica sempre più importante nell’economia della pubblicità online. Gli inserzionisti preferiscono concludere un paio di offerte pubblicitarie grandi piuttosto che tante più piccole, e le compagnie di media più grandi sono in grado di proporre prezzi vantaggiosi. Con Yahoo e AOL sotto lo stesso tetto, Verizon sarà in grado di integrare i loro team di vendita e offrire agli inserzionisti pacchetti che includono media brand di entrambe le aziende”.