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Questa mattina il pluripremiato giornalista bielorusso Pavel Sheremet è stato assassinato nel centro di Kiev. Al momento del fatto, si trovava alla guida della macchina di Olena Prytula, proprietaria del quotidiano online Ukrayinska Pravda, per il quale Pavel scriveva. Una bomba installata sotto la vettura è all’origine dell’esplosione che ha ucciso il reporter sul colpo.

 

Campione della libertà di stampa nel mondo post-sovietico, il nome di Pavel Sheremet fu al centro di una contesa diplomatica tra Bielorussia e Russia, quando nel 1997 fu arrestato insieme al collega Dmitry Zavadsky per un’inchiesta sui retroscena del regime di Lukashenko. Due anni dopo fu insignito del CPJ International Press Freedom Award e nel 2002 ricevette dall’OSCE il Prize for Journalism and Democracy.

Nel 2004, periodo in cui dirigeva il giornale online d’opposizione Belarussky Parizan, fu vittima di un pestaggio. L’anno prima era stato ritrovato il corpo di Zavadsky, scomparso nel 2000, con cui aveva investigato in Cecenia sulla presenza degli agenti di sicurezza bielurossi tra le linee dei ribelli. Negli ultimi anni Sheremet aveva lavorato per la TV russa Pervyj kanal, fino all’allontanamento nel 2014, in segno di protesta contro la propaganda anti-Ucraina del Cremlino, e al conseguente trasferimento a Kiev.

Le autorità del Paese hanno subito condannato l’attentato di stamattina, a partire dai messaggi di cordoglio del primo ministro Volodymyr Groysman e del presidente Petro Poroshenko, con cui era in rapporti di conoscenza diretta.

 

È difficile al momento formulare ipotesi sul mandante, ma senza dubbio la morte di Pavel Sheremet lascia dietro di sé una scia di inquietanti dubbi sugli intrecci di potere nell’Ucraina post-Yanukovich, e getta ulteriori ombre su un Paese che, dopo le manifestazioni di EuroMaidan, nel 2014, sperava finalmente di avere ricostruito una solida società civile.

Freedomhouse nel suo annuale report indica l’Ucraina come una nazione “parzialmente libera,” nonostante  sensibili miglioramenti nel pluralismo politico e negli obblighi di trasparenza.

Kiev deve infatti fare ancora fare i conti con lobby e oligarchi, che continuano a beneficiare dei loro legami con il potere politico. Del resto, con la Crimea ancora occupata dalla Russia e i continui combattimenti nell’Est del Paese, la priorità del Presidente Poroshenko è sempre quella di ripristinare l’integrità territoriale, posticipando però le riforme strutturali chieste sia dall’Europa che dalla società civile ucraina.

Non è ancora chiaro se questo attentato possa spingere le frange più progressiste della Rada, il parlamento di Kiev, a chiedere un maggiore pluralismo nel mondo dell’informazione ucraino. Quel che è certo è che la difficile situazione economica (la grivnia, la moneta locale, è letteralmente crollata in un anno) sta lentamente logorando il tessuto sociale dell’Ucraina. In particolare i giovani temono che la svolta libertaria portata da EuroMaidan possa esaurirsi, esattamente come dopo la Rivoluzione Arancione del 2004.  

Ad agosto seguiremo da vicino lo scenario ucraino, con le testimonianze di Andrea Castagna e Giulio Gipsy Crespi, inviati sul posto per girare il documentario Ukrainian Youth.