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È fallito nell’arco di poche ore il colpo di stato in Turchia, attuato da una porzione minoritaria dell’esercito. Attorno alle 3 di notte locali il Premier Yildirim dichiara che la situazione è sotto controllo, il Presidente Erdogan atterra trionfale nel riconquistato aeroporto di Istanbul e i primi golpisti si consegnano alle forze lealiste. Questo fatto segna apparentemente un definitivo ridimensionamento del ruolo dei militari nelle dinamiche di potere del Paese.

Il tentato putsch di ieri sera non è un evento inedito per la Turchia.

L’esercito, consacrato dal padre della patria Mustafa Kemal Ataturk come l’autentico guardiano della costituzione laica, è intervenuto infatti in diverse occasioni dagli anni ‘60 ad oggi, deponendo governi e imponendo cambi di regime.

 Mustafa Kemal Atatürk
Mustafa Kemal Atatürk

1960. Il primo colpo di stato viene realizzato nel 1960, al culmine di un periodo di tensione tra il governo e le forze di opposizione. Dopo anni di egemonia politica, boom economico e vasto consenso, il Partito Democratico, sotto la guida del presidente Celal Bayar e del primo ministro Adnan Menderes, si apre alle istituzioni islamiche, approvando la riapertura di migliaia di moschee, legalizzando l’officiatura in lingua araba e istituendo le scuole religiose. Inizia una fase di declino e repressione del dissenso: il governo, vessato dall’iperinflazione dilagante, introduce la legge marziale. Il 27 maggio del ‘60 il generale Cemal Gursel comanda l’arresto dei vertici dello stato e assume le cariche di Presidente e Primo Ministro. Menderes verrà successivamente giustiziato. La fase di potere militare si conclude nel 1965 con il ritorno al regime democratico.

1971, il golpe del memorandum. La fine degli anni ‘60 fu caratterizzata da una profonda stagnazione economica e disordini diffusi, generati dal malcontento popolare e alimentati dal terrorismo di estrema destra. Nel tentativo di riportare l’ordine, il 12 marzo 1971 l’esercito, sotto il comando dei generali Tagmac e Gurler, presenta un memorandum al Presidente Sunay. L’ordine è di formare un governo forte e credibile, ispirato dalla visione politica di Ataturk. Dopo poche ore, il Primo Ministro Demirel si dimette. Segue un biennio di deboli esecutivi, questa volta senza il governo diretto dei quadri militari, fino all’elezione del presidente Koruturk.

1980. Gli anni ‘70 avevano visto divampare il conflitto tra i comunisti e gli ultranazionalisti, nell’ambito del più ampio schema bipolare della Guerra Fredda. A fare da cornice ai frequenti scontri e assassinii, secondo alcuni orchestrati dalle stesse forze armate, erano l’instabilità istituzionale e il tracollo economico senza via d’uscita. Il 12 settembre 1980, il generale Kenan Evren mette in atto un golpe “costituzionale”, pianificato nei dodici mesi precedenti, e prende il mano le redini del governo per i successivi due anni.

L’operazione non ha precedenti: tra migliaia di arresti e decine di esecuzioni, i partiti esistenti vengono banditi e viene imposta una nuova costituzione, confermata a larga maggioranza da un referendum, che concentra i poteri nelle mani del Presidente e abolisce il Senato.

Nel 1983 Evren viene eletto Presidente, inaugurando una stagione di liberismo e conservatorismo.

1997, il golpe bianco. Le elezioni del 1995 avevano visto affermarsi il Partito del Welfare (RP), di ispirazione islamista, a guida del governo di coalizione. Il Premier Erkaban, accusato dai militari di promuovere politiche religiose settarie, viene deposto con un colpo di stato “soft”, non prima di essere forzato a ripristinare la laicità attraverso una serie di decreti – tra cui otto anni di istruzione statale obbligatoria, per frenare il proselitismo delle scuole religiose, e il divieto di indossare i foulard nelle università. L’RP viene bandito, Erkban viene estromesso dalle cariche pubbliche per cinque anni.

Da circa vent’anni la Turchia si presenta come un Paese stabile a livello istituzionale. L’AKP, partito sorto dalle ceneri dell’RP ed egemone da oltre 15 anni, ha messo in atto, sotto la presidenza di Erdogan, una serie di misure per contrastare il potere di ricatto delle forze armate.

Con il referendum del 2010, che ha cancellato dalla costituzione l’immunità per gli autori dei golpe militari e ha introdotto la nomina parlamentare dei giudici della Corte Costituzionale e del Consiglio superiore della magistratura, l’esercito ha perso parte delle sue prerogative, venendo de facto relegato ai margini dello scenario politico. Una diretta conseguenza del referendum è stata la condanna all’ergastolo del golpista Evren nel 2014.

Una serie di inchieste promosse dall’AKP hanno inoltre segnato una battuta d’arresto per l’esercito.

Nel 2007, il ritrovamento di un arsenale esplosivo in una bidonville di Istanbul porta alla luce un complotto architettato da una rete occulta con svariate ramificazioni nell’esercito e nella società civile. L’inchiesta che ne segue, passata alla cronaca sotto il nome di Ergenekon, porta all’arresto di 300 persone.

Nel 2010,  esce un’inchiesta che smaschera un piano sovversivo di sette anni prima, volto a provocare la caduta del partito di governo. L’operazione, denominata Balyoz, prevedeva una serie di atti terroristici per mano della Marina e viene sventata, portando all’arresto, nel 2012, di 322 militari d’alto rango.

Il fallito colpo di stato di ieri è la conferma della fine di un’epoca per la Turchia.

L’inaspettata mobilitazione dei cittadini a sostegno del parlamento democraticamente eletto e l’intervento della polizia nazionale lealista, su cui si basano le politiche repressive del governo, hanno messo in scacco l’esercito che non ha osato aprire il fuoco in maniera sistematica sulla gente scesa per le strade.

L’operazione si è rivelata in conclusione un sostanziale autogol: di qui in avanti ci si potrà solo aspettare un ulteriore accentramento dei poteri nelle mani del presidente, a scapito dei quadri militari. Forse addirittura l’inizio della transizione verso la repubblica islamica tanto voluta da Erdogan, nonché il definitivo declino del sogno di Ataturk.