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foto CC-BY-SA Mtmelendez

Le due monarchie della Manica hanno molto in comune. Storie, assonanze linguistiche, un passato imperialista e un presente da centri della finanza globale. In Olanda e Inghilterra piove spesso, si beve molta birra e i partiti euroscettici spopolano. E mentre una ha votato per uscire dall’Unione Europea, l’altra potrebbe seguire a ruota.

Ad esempio, Geert Wilders ha urlato di gioia per la vittoria del Brexit. L’invocazione del turno olandese per il bacio dell’addio all’Unione non si è fatta attendere: “ora è il nostro turno” scriveva su Twitter il politico. “Referendum” sarà del resto la colonna sonora dell’umida estate olandese, cantata con occhi di bragia dai sostenitori della destra radicale e populista.

E l’uomo giusto per dirigere l’orchestra è proprio Wilders: la voce dei mal di pancia sociali; oratore dall’invettiva facile contro le “elites corrotte” nazionali ed europee; islamofobo e anti-immigrazione; fondatore, leader e unico iscritto della “Lega Nord” olandese – il Partito della Libertà (PVV).

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foto CC-Zero Phil Nijhuis

Classe 1963, Geert è nato a Venlo, nel sud-est dell’Olanda, da padre olandese e madre indonesiana. Con un passato nel settore assicurativo, inizia negli anni Novanta come ghostwriter per i liberali di centrodestra e, nel 2004, salta sul treno dello “scontro di civiltà” per fondare un gruppo parlamentare, poi divenuto PVV, contro “l’islamizzazione” dell’Europa.

Questa è infatti, ancora oggi, la crociata di Wilders. A cui si aggiungono slogan nativisti e la nostalgia per le frontiere e la sovranità nazionale. Wilders sarà insomma il Farange olandese quando e se i Paesi Bassi dovessero seguire l’esempio dei cugini d’oltremanica.

Le somiglianze tra politici non sono le uniche a fare dei Paesi Bassi il prossimi candidati nella possibile catena referendaria anti-Ue. Il bacino elettorale della destra radicale assomiglia al secessionismo britannico: “Come in molti paesi, chi vota per i populisti ha stipendi più bassi, è più frequentemente disoccupato. È un elettore razionale nel senso che ha idee molto restrittive su immigrazione e Islam”, spiega Matthijs Rooduijn politologo all’Università di Amsterdam.

Poi c’è la frustrazione di chi ha sentito maggiormente l’impoverimento sociale ed economico ai tempi della crisi. “Una delle ragioni per cui Wilders è così popolare oggi”, continua l’esperto, “è che nel tempo si è avvicinato a posizioni di sinistra sui temi del welfare e della redistribuzione della ricchezza. Ci sono molti elettori, in Olanda, che sono di sinistra per quanto riguarda temi socio-economici e di destra per temi socio-culturali.”

Il successo mediatico di Geert Wilders, l’ignavia e le strizzatine d’occhi della politica tradizionale, incapace di fronte a un diffuso malcontento sociale, hanno fatto il resto. Ora il Parlamento, vuoi per cambi d’umore nell’elettorato, vuoi per l’insorgere del PVV (che sono facce di una stessa medaglia), si ritrova in una sorta di abbraccio della morte con la destra radicale:

“I maggiori partiti olandesi, ma succede anche in altri Paesi europei, si sono mossi verso posizioni di destra. Sono diventati più duri o restrittivi per quanto riguarda l’immigrazione. E anche più euroscettici”, conclude Rooduijn.

Le assonanze con l’Inghilterra ci sono. La destra radicale e populista, nei Paesi Bassi, ha ora davanti la prateria sterminata del Referendum. E la osserva dal promontorio. Basterebbero mezzo milione di firme (è appena successo per gli accordi di associazione tra Europa e Ucraina) e anche l’Olanda potrebbe avere il suo Nexit. Vincesse il Sì, l’unico modo per aggirare la volontà popolare sarebbe andare a elezioni anticipate. Ma qui, visto lo spirito dei tempi, il PVV potrebbe compiere la più significativa vittoria elettorale della propria storia.